Economia

Grecia, ok agli aiuti: in arrivo 49 miliardi

di Antonio Salvi*

Cinquant'anni fa Hyman Minsky e Charles Kindleberger misero per la prima volta in luce gli stretti legami tra instabilità finanziaria e instabilità macroeconomica. La conclusione principale cui pervennero i nostri autori fu semplice, ma dirompente: la relazione di causalità delle crisi si trasmette spesso dal sistema finanziario alla crescita economica.
L'armamentario messo in piedi dagli Stati a seguito delle crisi di natura bancaria è stato piuttosto creativo: politiche monetarie espansive; supporto alla liquidità; garanzie alle passività bancarie. La neonata supervisione del sistema bancario europeo rappresenta un ulteriore strumento in questa direzione, il cui obiettivo specifico dovrebbe essere proprio quello di contribuire a interrompere il circolo vizioso tra banche e Stati sovrani. Tre osservazioni, a caldo.
La prima riguarda la soddisfazione del primo ministro tedesco, secondo cui l'accordo raggiunto è positivo perché assicura gli interessi della Germania. La mia sensazione è che il riferimento della cancelliera non sia tanto al fatto che l'accordo appena siglato consenta alle banche regionali tedesche di sottrarsi alla vigilanza Bce.
Segnalo, infatti, che anche in altri Paesi, in primis il nostro, il peso delle banche di «minore» dimensione e fortemente regionalizzate è rilevante. Dunque, se questo fosse il motivo di tale soddisfazione, dovremmo aggiungerci a lei nei festeggiamenti. A mio avviso, la contentezza della cancelliera fa riferimento al fatto che un'Europa maggiormente «imbrigliata» dal punto di vista finanziario consente a chi fa la voce grossa - come da un po' di tempo accade da quelle parti - di avere gioco più agevole a imporre le proprie ragioni. La seconda riflessione fa invece riferimento al fatto che sono pochi gli economisti che si rifiutano di pensare a una soluzione più drastica del perverso legame tra economia finanziaria e reale. Gli economisti della scuola austriaca (von Hayek, von Mises e, più recentemente, Huerta de Soto) hanno da tempo evidenziato che il problema delle crisi bancarie è strettamente legato al regime di riserva frazionaria con cui esse sono autorizzate a operare.
Alle banche è consentito di trattenere a riserva solo una quota minima dei depositi, mentre il resto può essere liberamente prestato, in un circuito che ha una tendenza innata ad autoalimentarsi. Solo riducendo, o addirittura interrompendo, il perverso circolo vizioso che genera l'aumento progressivo del peso dell'economia finanziaria su quella reale, è possibile prevenire - a detta degli economisti austriaci - decisioni di investimento sbagliate da parte degli operatori e le conseguenti crisi che ne derivano. La terza considerazione trae spunto dal fatto che, per alcuni osservatori, appare difficile risolvere il problema senza che la Vigilanza s'inserisca in un progetto più ampio di unione fiscale e politica. Si tratta di un punto importante, puntualmente invocato quando si realizza qualche provvedimento a livello europeo.


Quanto concordato e siglato non è mai sufficiente, bisogna sempre auspicare un passo in avanti, qualche regola in più, presumibilmente verso un futuro in cui la sovranità locale sia veramente ridotta al lumicino e il regolamentatore ci riduca a degli automi. Ma siamo proprio sicuri che questa voglia irrefrenabile di avanzamenti verso un destino comune sia auspicabile e soprattutto che invocare continui passi in avanti non ci avvicini rapidamente verso un pericoloso baratro?
*Preside Facoltà Economia
Università Lum «Jean Monnet»

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