Economia

Tra i baby-ricchi va di moda l'hedge fund

Adesso, come se il tempo della diplomazia fosse ormai esaurito, Mario Draghi non ne fa passare più una. Chiaro segno che lo scontro con la Germania ha raggiunto i livelli di guardia, in un deterioramento di rapporti che dal famoso discorso di Jackson Hole fino all'ultima riunione della Bce si va consumando senza battute d'arresto.

Facile, quindi, per l'ex governatore di Bankitalia cogliere la palla al balzo delle critiche lanciate dai tedeschi durante il vertice australiano del G20 per dimostrarne ieri, davanti a una commissione dell'Europarlamento, la scarsa fondatezza. La prima replica velenosa è per il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che ventilava i rischi di una bolla gonfiata dalle misure espansive della Bce. «Non vediamo nell'Eurozona - ha spiegato Draghi - aumenti dell'effetto leva dovuti a un aumento di liquidità che può essere l'inizio di una bolla in diversi settori». Poi, la seconda stoccata, questa volta con bersaglio il capo della Bundesbank, Jens Weidmann: i nuovi aiuti «aumenteranno la dimensione del bilancio, ma l'esposizione addizionale al rischio sarà limitata». Salti nel vuoto, dice insomma Draghi, non ne facciamo. Neppure con l'acquisto di Abs: «Saranno comprati solo i titoli senior e mezzanini, e tra i senior soltanto quelli già utilizzati come garanzie nell'Eurosistema», mentre per quelli con rating inferiore ad A- «il loro rischio di credito intrinseco sarebbe compatibile a quello del garante, si tratti di un garante nazionale o di una entità sovranazionale». Quanto all'esito dell'asta Tltro, giudicata dagli osservatori deludente per gli appena 82,6 miliardi richiesti dalle banche, il numero uno della Banca centrale ha chiarito che la domanda «è nella forchetta che ci aspettavamo».

Nessun dietrofront, ma anzi la sensazione che Draghi voglia alzare il tiro quando sostiene di essere «pronto ad alterare la mole, e, o la composizione del nostro intervento non convenzionale» se aumentassero i rischi di deflazione e per agevolare una ripresa che «sta perdendo un po' d'impulso. Le prime indicazioni dell'estate sono state più deboli di quanto atteso», ha ammesso. A preoccupare sono certo gli investimenti, a un livello così basso come «non si vedeva da decenni», ma ancor più l'assenza di «riforme strutturali coraggiose». E senza riforme, ha detto chiaro Draghi, non si esce dalla crisi, né può crescere la fiducia né la capacità d'investire delle imprese può aumentare. Con gli strumenti della politica monetaria non si aggiusta tutto. Anche perché, ha ammonito il presidente della Bce, ci sono alcuni Paesi che hanno sfruttato in modo virtuoso i risparmi garantiti dalle misure implementate dalla Bce, mentre altri non hanno usato la riduzione dei tassi sui titoli di Stato «per abbattere il debito, ma per finanziare nuova spesa».

Eppure, non c'è alcun do ut des tra Eurotower e i governi: «Non esiste - ha precisato Draghi - nessun negoziato» tra le misure che l'istituzione decide e le riforme indicate come necessarie. Misure che «non prendo pensando agli amici della City o di Wall Street: penso ai cittadini europei, alla disoccupazione, alla necessità di fare crescere l'economia». L'obbligo dei Paesi senza margini fiscali è quello di rivedere le priorità, ovvero «meno spese governative improduttive e meno tasse per favorire gli investimenti». Al contrario, chi ha spazi di manovra deve «seguire le raccomandazioni specifiche che sono state approvate dai leader Ue in sede di Consiglio».

Un altro siluro alla Germania, sollecitata a fare più sforzi per sostenere la domanda interna e dell'Eurozona, usando il suo ricco bilancio pubblico.

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