Economia

I banchieri popolari iniziano il «risiko»

Il Banco punta la Bpm, che però non intende farsi colonizzare. Zonin verso l'addio, ma prima Vicenza vuole Veneto B

I banchieri popolari iniziano il «risiko»

Subita la disfatta in Parlamento sulla riforma Renzi che le obbliga a diventare spa, le banche popolari prendono posto al tavolo del riassetto. Non si è parlato quasi d'altro ieri alle assemblee di Popolare Milano, Banco Popolare, Popolare Vicenza e Creval, formalmente chiamate ad approvare i bilanci. Un'aggregazione con Milano «non è impossibile», ha ribadito l'ad del Banco, Pier Francesco Saviotti che da mesi definisce «un sogno» questa operazione. Gestita la transizione, il banchiere sarebbe peraltro disposto a passare il timone al capo azienda di Bpm, Giuseppe Castagna.

Davanti a un'assemblea gremita (32mila soci presenti, deleghe comprese), il presidente Carlo Fratta Pasini ha fatto il resto, assicurando che il Banco non vuole essere «nè aggregato nè aggregante». L'idea sarebbe creare un spa quotata che faccia da comune cappello, sotto cui far sopravvivere le banche reti con le rispettive strutture commerciali ma senza i costosi cda; uno schema quindi non distante da quello adottato della francese Credit Agricole. Pur in un clima di mezzo disarmo, i piccoli soci e la politica provano però la zampata per indirizzare il processo di aggregazione e predisporre nelle nuove «coop-spa» un nocciolo duro in chiave antiscalata. Non a caso i primi a muovere sono state proprio Milano e Verona. La Fondazione Cariverona di Paolo Biasi si è infatti detta pronta a investire nel Banco «per garantire la stabilità dell'azionariato», e potrebbe essere affiancata da CariLucca, (2,89%). La base di Bpm ha invece partorito un «patto parasociale di preventiva consultazione». L'iniziativa, presentata dall'ex candidato sindaco di Milano per l'Ulivo Sandro Antoniazzi, nasce da pensionati e soci non dipendenti, ma la «sacra alleanza» potrebbe estendersi a una parte dei dipendenti così da racimolare almeno il 5% del capitale. Il piano di battaglia è riassunto in un volantino distribuito all'assise (3.976 soci presenti, deleghe comprese): creare una cooperativa cui affidare una quota di minoranza della spa; difendere i soci mutualisici con un cocktail di azioni speciali, limiti ai diritto di voto, posti in Cds e voto plurimo. Alcuni degli storici collettori del consenso di Bpm puntano invece alle piccole aggregazioni, ma c'è un allineamento con il vertice sul fatto che occorre trovare lo sposo velocemente e comunque prima di rinunciare al voto capitario. «Fare prima la spa ci renderebbe più aggredibili rispetto ad offerte ostili», ha avvertito Castagna, mantenendo però le carte coperte: «Esamineremo varie opportunità. A oggi non ci sono stati contatti di nessuno con nessuno».

Se la strada maestra Milano-Verona risultasse davvero sbarrata, Bpm potrebbe guardare come primo passo a Carige o al Creval, che però continua a strizzare l'occhio ai vicini di casa della Popolare di Sondrio. Sembra invece aver perduto ulteriore appeal l'idea di riproporre le nozze con Popolare Emilia Romagna, difficoltose dal punto di vista della governance visto che il suo ad Alessandro Vandelli non avrebbe alcuna intenzione da fare da spalla. Tanto che Bper, per non restare isolata, avrebbe aumentato il pressing su Unipol Banca e su Veneto Banca, dove c'è un partito che vuole nuovamente respingere la mano tesa dalla Popolare Vicenza di Gianni Zonin: «Siamo in grado di costruire una grande banca del Veneto, per fare questo il cda ha bisogno di serenità e pazienza», ha ribadito il banchiere-viticoltore. Zonin, alle prese con le critiche dei soci che hanno dovuto accettare di tagliare da 62,5 ai 48 euro il prezzo delle azioni (-23%),ha anche anticipato che passerà la mano: «Non sarò presidente della spa». Un passaggio storico, ma c'è da scommettere che non sarà il solo tra i «Signori» delle Popolari, perché con la rottamazione del voto capitario finisce un modo di intendere la banca.

Negli uffici della Bce non sembra però esserci grande entusiasmo all'idea di un'aggregazione tra i due istituti veneti non quotati, perché entrambi hanno delle debolezze da superare: il direttore generale Samuele Sorato ha già avvertito che Vicenza potrebbe abbinare il salto verso la spa a una nuova ricapitalizzazione, perché molti soci venderanno.

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