Attenti al portafoglio

Come difendersi dalla tassa più odiosa sul conto corrente

La chiamano imposta di bollo. È una sorta di patrimoniale sui risparmi degli italiani. Una delle tasse più detestate dai contribuenti del Belpaese

Come difendersi dalla tassa più odiosa sul conto corrente

Lo Stato ci ha insegnato a odiare le tasse. Tasse, tasse, tasse, su qualsiasi cosa. Auto, casa, scooter, attività commerciale, stipendio (anche se dannatamente basso!). Ma ce n’è una che ci è particolarmente avversa: l’imposta di bollo. Le imposte di bollo sui conti correnti sono nient’altro che una patrimoniale. Colpiscono ogni singolo rapporto bancario e postale. Fruttano ogni anno all’Erario milioni di euro. E variano nell’importo a seconda che si tratti di conti aziendali o personali.

Cos'è

Si tratta di un balzello che colpisce tutti quei soggetti che possiedono un conto corrente bancario o postale, anche quando lo movimentano pochissimo. Per le persone fisiche l’imposta vale 34,20 euro all’anno, mentre per le aziende l’importo è di 100 euro. Risale al 1972. È stata poi modificata con il tempo più volte e mai abolita nonostante le proteste dei consumatori.

L’ultima volta che si è messo mano all’imposta di bollo risale al 2011. Parliamo dal famoso decreto Salva Italia emanato durante il governo Monti. L’Italia è al centro di una tempesta finanziaria, lo spread non fa dormire sonni tranquilli agli italiani. E così, i nostri governanti, hanno pensato bene di introdurre una nuova imposta. L’ennesima.

Questa tassa, tanto odiata, viene applicata al momento dell’emissione dell’estratto conto o del rendiconto. Ed è relativa al periodo rendicontato anche in caso di apertura e chiusura in corso d’anno. Nel caso di assenza di rendiconto nell’anno, l’imposta è applicata al 31 dicembre di ciascun anno. Nel caso, invece, in cui lo stesso cliente intrattenga più rapporti di conto corrente e risulti intestatario di più libretti di risparmio, deve essere corrisposta per ciascun rapporto. Il versamento non viene effettuato dal contribuente, bensì dalla banca, che trattiene direttamente la somma dal conto del cliente per poi versarla allo Stato. È quindi una tassa fissa e non dipende da quanti soldi si tengono depositati o si movimentano. Si paga per il solo fatto di possedere un conto corrente e di tenerci depositato del denaro, tanto per spese e incassi correnti, quanto per frequenti e cospicue movimentazioni di denaro.

Quando non si paga

Ora che abbiamo imparato a conoscerla e capito quanto costa, vediamo i casi in cui non si paga. La prima eccezione riguarda la giacenza media del conto: quando è entro i 5mila euro, allora il versamento dell’imposta di bollo non è dovuto. Per giacenza media si intende il calcolo della giacenza sul conto o sul libretto effettuato al momento dell’emissione dell’estratto conto o del rendiconto.

Il calcolo della giacenza media è effettuato in modo cumulativo per cui se si hanno più conti o libretti con la stessa banca, è sufficiente che la somma delle giacenze medie relative ai rapporti bancari sia superiore ai 5mila euro per far scattare l’obbligo di pagamento dell’imposta. Può accadere che un correntista provveda a tenere sempre la giacenza media sul conto corrente al di sotto dei 5mila euro o addirittura in rosso. Un espediente che è spesso di difficile attuazione.

Non si applica nemmeno ai rapporti intercorsi tra gli enti gestori e quegli organismi senza scopo di lucro a carattere associativo costituiti da piccole e medie imprese (Confidi). Sono esentati anche i conti correnti delle pubbliche amministrazioni. Un’ulteriore deroga è data dalle capacità reddituali del soggetto. In base alla normativa vigente, coloro che hanno un Isee inferiore a 7.500 euro all’anno sono esentati dall’applicazione dell’imposta. A tal fine è necessario produrre presso il proprio istituto di credito o in Posta la certificazione rilasciata dall’Inps. Questa deve accertare il limite dei 7.500 euro affinché l’intermediario, che agisce come sostituto d’imposta, non trattenga l’importo annuale.

Poi ci sono i titolari di conti corrente di base. Questi sono stati introdotti sempre dal governo Monti per ridurre l’uso del contante, qualora si rivolgessero a fasce socialmente svantaggiate di clientela. Questi devono essere offerti dall’intermediario senza spese. Infine, i titolari di un conto corrente presso un istituto di pagamento o ente bancario che emette moneta elettronica.

Ecco è il quadro completo della situazione. Le tasse vanno odiate, quanto pagate (purtroppo!). E possiamo solo sperare che nel futuro i risparmi, o i fondi degli italiani, tornino ad essere davvero sovrani.

E che il potere pubblico comprenda a pieno la necessità di introdurre un fisco lealmente amico dei suoi cittadini.

Commenti