Economia

Intesa «batte» la bad bank di Padoan

Le concorrenti bussano a Imi, che ha un veicolo per smaltire le sofferenze. Occhi puntati su Mps

Camilla ContiLa «bad bank» varata in extremis dal Tesoro ha tempi assai diversi rispetto a quelli del mercato. Che chiede di risolvere con urgenza il problema delle sofferenze bancarie. La cosiddetta «Gacs», ovvero il meccanismo che prevede la concessione di garanzie dello Stato per favorire operazioni di cartolarizzazione di crediti bancari inesigibili, rischia invece di arrivare troppo tardi. Lo hanno capito anche le big del sistema, soprattutto quelle che hanno in pancia grossi pacchetti di Npl (i crediti che non rendono e difficilmente saranno rimborsati) da smaltire che stanno dunque cercando soluzioni alternative affidandosi a dei «mister Wolf» del settore. Non è dunque un caso se alcune grandi banche hanno bussato alla porta di Banca Imi, del gruppo Intesa, che ha messo in piedi una piattaforma di cartolarizzazione chiamata in gergo tecnico «multioriginator» già utilizzato dalle Banche di Credito Cooperativo. Ovvero: una società che aggrega da più banche vari portafogli di crediti in sofferenza, li cartolarizza e colloca i titoli obbligazionari frutto dell'operazione presso investitori specializzati. Nel corso di 18-24 mesi Imi è riuscita a cedere 850 milioni di sofferenze, «al ritmo di una cessione ogni sei mesi e raccogliendo le adesioni di oltre 60 piccole banche coordinate da Cassa Centrale», spiega Biagio Giacalone che guida la squadra Credit Solutions di Imi. Il vantaggio? I costi vengono condivisi fra le banche aderenti a questa specie di «consorzio» del recupero, i tempi di esecuzione vengono ottimizzati perché le procedure per la cessione sono di fatto standardizzate. Certo, come sottolinea Giacalone, «la garanzia dello Stato alle tranche senior di sofferenze è un contributo importante» e «stimola la discussione fra chi deve cedere gli Npl». Ma dopo un anno e mezzo di trattative con Bruxelles, il progetto di bad bank di sistema è naufragato e l'Italia si trova costretta a smaltire 88,9 miliardi di sofferenze, al netto delle rettifiche, con grande lentezza. Le grandi agenzie di rating sono infatti chiamate a esprimersi sui futuri veicoli di cartolarizzazione (dovranno avere come giudizio minimo BBB-) ma le prime «pagelle» non si vedranno prima della fine di quest'anno. Dovranno essere esaminati i singoli prestiti, i flussi di cassa associati al titolo garantito, i piani industriali, gli immobili messi a garanzia e preventivate le lungaggini nelle procedure concorsuali. Si tratta di un processo che richiede mesi. Troppi per alcuni istituti che non devono solo liberarsi le spalle dalla zavorra dei crediti non performanti ma vogliono anche spuntare un buon prezzo dalla vendita. Il prossimo passo per banche come Mps, Ubi e Banco Popolare potrebbe essere quello di affidarsi anche periodicamente a un intermediario esperto come Imi. Il caso senese è quello più problematico: il portafoglio di crediti deteriorati del Monte ha raggiunto quota 46,9 miliardi a fine 2015 con un tasso di copertura del 48,5% e in base al piano industriale devono scendere di almeno 5,5 miliardi entro il 2018. Per questo il cda del Monte dei Paschi lo scorso 5 febbraio ha avviato «un progetto per la valorizzazione della piattaforma di recupero crediti» del gruppo attraverso una «partnership con un operatore specializzato» così da «ottimizzare le performance di recupero» delle sofferenze.

E alcuni pensano che l'operatore specializzato possa essere trovato proprio in «casa» di Intesa.

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