Economia

L'Arabia: «Nessun taglio alla produzione di greggio»

I sauditi pretendono che l'Iran congeli le quote di estrazione Ma Teheran continua a pompare sempre più petrolio

Rodolfo Parietti

I primi ad ammetterlo sono proprio loro, i signori del petrolio: l'offerta mondiale resta «sovrabbondante». E mica di poco, visto che l'Opec quantifica il surplus in oltre 2,5 milioni di barili al giorno. Ci sarebbero insomma le condizioni per dare una strizzatina ai rubinetti da cui sgorga troppo greggio. Il vertice di Doha di domenica prossima, aperto anche ai Paesi al di fuori del Cartello, sarebbe una buona occasione per ricalibrare l'offerta. Sul tavolo, infatti, c'è la proposta di congelare l'output sui livelli di gennaio. Fino all'altroieri, il summit sembrava destinato al successo. Giravano voci di un'intesa tra Arabia Saudita e Mosca, con incorporata perfino la possibilità di un taglio produttivo. Un asse granitico, quello tra Ryad e Mosca, in grado di spostare gli equilibri della riunione. Vero? No, a sentire il ministro del petrolio saudita, Ali al-Naimi: «Scordatevi tagli, l'argomento è escluso».

Il problema è capire se i sauditi accetteranno almeno di moderare le quantità estratte in assenza di una contestuale riduzione da parte dell'Iran. Difficile che accada, così come è del tutto improbabile che Teheran receda dal proposito di allineare il proprio output ai livelli pre-sanzioni. Rispetto a dicembre, l'ultimo mese in cui era ancora in vigore l'embargo petrolifero, la produzione iraniana ha già avuto un incremento di 400mila barili al giorno, ed è verosimile che il ritmo di crescita diventerà più sostenuto nei prossimi mesi. Il Paese ha già detto di non voler aderire a nessun tipo di accordo che vada a impattare con le proprie strategie. Il ministro del Petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, potrebbe infatti disertare il vertice di domenica, lasciando che sia solo una figura di rappresentanza, cioè senza alcun potere negoziale, a presenziare alla riunione.

Eppure, i Paesi produttori avrebbero bisogno di un accordo. L'effetto sulle quotazioni sarebbe immediato. Ieri, dopo tre sedute con il segno più, il Wti è sceso dello 0,83% a 41,82 dollari il barile in seguito all'aumento superiore alle attese delle scorte di petrolio negli Stati Uniti, cresciute la scorsa settimana di 6,634 milioni di unità a 536,531 milioni, mentre gli analisti attendevano un rialzo di 1,8 milioni di barili, dopo il calo di 4,937 milioni di unità precedente. È il segno che l'economia Usa non viaggia a pieno regime. Non è la sola. L'Opec ha ridotto di 50mila barili al giorno le sue stime sulla domanda di greggio per il 2016, citando il rallentamento economico in America Latina e Cina, le due fonti di maggiore preoccupazione.

«I fattori negativi attuali - rileva l'organizzazione con sede a Vienna - sembrano superare quelli positivi ed eventualmente implicare revisioni al ribasso della crescita della domanda di petrolio se tali segnali dovessero confermarsi».

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