Economia

La Legge di Stabilità ammazza l'università, nessun cenno alle borse di studio

La denuncia del consorzio degli atenei: in molte regioni l'università rischia di essere una possibilità riservata ai benestanti

La Legge di Stabilità ammazza l'università, nessun cenno alle borse di studio

I propositi della "Buona Scuola" renziana e la Legge di Stabilità arrivata al Senato possono essere riassunti in una semplice figura: due linee parallele, che vanno nella stessa direzione ma che non si incontreranno mai.

Senza entrare nel merito dei propositi della riforma firmata dal ministro Giannini, a sconcertare è come la manovra economica firmata dal collega Padoan si sia completamente dimenticata del mondo universitario, o quanto meno, degli studenti che vorrebbero prendere una laurea e delle famiglie che devono sobbarcarsi i costi per quello che sta diventando a tutti gli effetti un privilegio per ricchi.

L'analisi del Sole 24 Ore è impietosa: nelle 88 pagine che compognono il testo spedito a Palazzo Madama per l'approvazione definitiva dopo il passaggio alla Camera, non compare neanche un accenno alle borse di studio e alle agevolazioni per le famiglie meno abbienti.

E non si tratta di problemi di fondi, dal momento che invece nello stesso testo c'è posto - e denaro - per sbloccare gli scatti dei docenti e per il reclutamento di nuovi ricercatori.

Ad affossare le grandi speranza degli studenti appena usciti dalle scuole superiori, come se non bastasse essere ignorati dalle misure economiche del governo, ci sono anche le nuove regole per l'Isee, l'indicatore della situazione economica equivalente, che fanno salire i parametri di molte famiglie, escludendole di fatto dall'idoneità per ricevere un contributo a sostegno del percorso di studi dei ragazzi.

Con queste premesse, non stupisce che dal 2011 a oggi l'università italiana abbia visto calare le immatricolazioni del 6,8% con picchi altissimi al Sud: -40% a Reggio Calabria, -31% a Napoli e -28,1% a Messina.

A non facilitare la situazione è anche la gestione a livello locale del welfare accademico, diventato ormai da tempo di competenza delle Regioni e, di conseguenza, spesso voce di taglio per far quadrare i conti di bilancio.

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