Economia

L'evoluzione dei Benetton: meno mercato, più tariffe

Stare sul mercato e competere con i concorrenti è diventata un'impresa difficile per la famiglia Benetton, in ritirata dal settore dell'abbigliamento. Il gruppo, in attuazione del piano triennale, ha annunciato la chiusura di 27 negozi a marchio United Colors of Benetton (16) e Sisley (11) che vanno ad aggiungersi alle cessioni di marchi minori (Playlife, Jean's West, Killer Loop e Anthology of Cotton) con la chiusura di altri 16 punti vendita. Le saracinesche abbassate si porteranno via almeno 200 posti di lavoro. Colpa della crisi, che ha abbattuto i consumi in mercati chiave come l'Italia e la Spagna, ma anche della competizione dei concorrenti: da Zara a H&M. Sta di fatto che l'evoluzione di uno dei «nomi» italiani più diffusi all'estero è inequivocabile: la galassia Benetton, che comprende decine di partecipazioni dalle autostrade agli aeroporti, è passata da grande gruppo in grado di affrontare un mercato competitivo a quello che molti analisti definiscono «l'impero del tariffato».
Al di là dell'abbigliamento, negli altri business in cui opera, come a esempio le autostrade, con Atlantia, e gli aeroporti, con Gemina, la famiglia Benetton «è supportata - spiega un analista - da una sorta di rendimento sicuro, che è quello delle tariffe che ogni anno, regolarmente, incassa». Parlare di aiuto di Stato sarebbe fuori luogo, tuttavia, il ritorno in questi due business è assicurato e, spesso, gode anche di importanti ritocchi all'insù. Solo l'anno scorso, la famiglia veneta ha goduto dell'appoggio del governo Monti che, in piena crisi, ha disposto l'aumento del pedaggio autostradale generando una crescita del 2% nelle entrate per un fatturato di 4 miliardi l'anno. Aumento che si è ripetuto quest'anno, con aumenti medi dei pedaggi del 4% e tutte le polemiche che sono seguite. Per non parlare delle tariffe dell'aeroporto romano di Fiumicino: prima dell'uscita di scena, il governo tecnico ha firmato un provvedimento che da ben 26 anni era chiuso in un cassetto: un raddoppio delle tariffe aeroportuali da 16 euro a passeggero a 26,50 euro, nonché il via libera all'ampliamento dell'aeroporto che porterà alla famiglia un guadagno di 12 miliardi. «È un impero, quello trevigiano dei Benetton, che a conti fatti risulta oggi più che mai legato a doppio filo agli equilibri della politica», dice un analista finanziario, sottolineando «che nel trasformare la propria natura di mercato ha perso di vista, almeno in parte, l'equilibrio finanziario».
La holding Edizione, che raggruppa tutti i business, dall'abbigliamento, alle autostrade, passando per aeroporti e autogrill, ha chiuso il 2012 con un utile dimezzato a 25,8 milioni da 44,5 milioni. Pur contando su un net asset value di 5,3 miliardi e un patrimonio netto di 2,5 miliardi, la spada di Damocle resta l'indebitamento finanziario netto, salito nel 2012 a 417 milioni, il doppio del precedente esercizio. Colpa, in parte, del delisting di Benetton Group, che dal febbraio 2012 è tornata interamente di proprietà della famiglia con un esborso di 215 milioni. Un'altra mossa che è andata nella direzione opposta a quella del mercato e che oggi culmina nel piano di ristrutturazione. Un piano con meno Italia come nei casi Atlantia, volta a crescere all'estero (soprattutto in Sud America) e di Autogrill. E pensare che un anno fa Benetton aveva lanciato la campagna-slogan «Unemployee of year» (Disoccupati dell'anno), che riprendeva giovani ragazzi «non avvocati», «non giornalisti», «non ricercatori» a causa del «non lavoro».

A dirlo oggi suona quantomeno beffardo.

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