Economia

L'imprenditore non agisce in giudizio per riscuotere le fatture? Rischia la condanna per frode fiscale

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n.22 dell'8 gennaio 2020. Se un imprenditore non agisce in giudizio per riscuotere le fatture emesse rischia il penale

L'imprenditore non agisce in giudizio per riscuotere le fatture? Rischia la condanna per frode fiscale

Un imprenditore che non agisca in sede giudiziaria al fine di riscuotere dai suoi clienti il saldo delle fatture emesse rischia di impantanarsi in una condanna per frode fiscale.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione che, come scrive il quotidiano Italia Oggi, ha confermato sia la condanna che la confisca nei confronti di un rappresentante legale di una cooperativa, accusato di aver organizzato una maxi frode fiscale. La sentenza di riferimento è la n.222 dell'8 gennaio 2020.

In altre parole, sono stati stabiliti due principi importantissimi: se l'imprenditore non agisce in giudizio per riscuotere quanto gli spetta dai clienti (e secondo quanto riportato sulle fatture), si presume che le operazioni siano fittizie. Come se non bastasse “è rilevante la circostanza per cui il contratto alla base della prestazione preveda un pagamento a sessanta giorni mentre sul titolo ci sia la dicitura rimessa diretta”.

Tornando al rappresentate, l'uomo era stato condannato dalla giustizia a un anno e tre mesi di reclusione per aver travisato la dichiarazione dei redditi. L'indizio che ha fatto insospettire la giustizia è stato il fatto che il soggetto, nonostante le molte fatture non pagate, non aveva mai avviato un'azione legale per recuperare il credito che gli sarebbe spettato.

La decisione della giustizia e le motivazioni

È così che la terza sezione penale ha aderito alla decisione della Corte di appello di Roma, la quale si era soffermata sulla circostanza che le citate fatture risultassero “essere emesse” anche per quei pagamenti non effettuati, “pur trattandosi di servizi per i quali la fattura va obbligatoriamente emessa solo al momento del pagamento della stessa o di acconti”.

Ma non è finita qui, perché le due cooperative in questione hanno continuato tranquillamente a emettere fatture all'indirizzo del cliente, “nonostante il mancato pagamento” delle stesse ma soprattutto “senza porre in essere azioni dirette alla riscossione dei crediti”. La Corte ha inoltre considerato che quei crediti mai riscossi costituivano quasi la totalità delle entrate delle società. Insomma, una stranezza che non poteva certo passare inosservata.

La condotta dell'uomo è stata ritenuta “sintomatica dell'inesistenza delle pretese creditorie” ma anche “illogica” perché le due cooperative “non avevano mai versato l'Iva corrispondente alle fatture emesse nell'anno 2010".

Entrambe avrebbero dovuto agire “per la riscossione dei crediti per onorare i propri debiti fiscali” nel caso in cui le operazioni "fossero state effettivamente svolte”.

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