Economia

L'Italia del mobile in Cina

Quando le cose si tengono insieme seppur non in stretta correlazione temporale. Nei giorni scorsi ho ripreso in mano un libro del professor Giulio Sapelli, Elogio della piccola impresa, uscito nel 2013. Un excursus scientifico a ricordarci da dove veniamo e su quali basi regge il nostro sistema imprenditoriale, senza tacere gli errori commessi da quell'attore economico. Poi, per altre vie, apprendo che 109 aziende del settore del mobile vanno in Cina per animare e caratterizzare la seconda edizione del Salone del Mobile Milano Shanghai (2325 novembre). Made in Italy che funziona, eccellenza, eccetera eccetera. Dunque, ciò che Sapelli ha fotografato è tuttora realtà viva.

Vedi, per l'appunto l'esempio virtuoso, del settore dell'arredo e del mobile di design, ben documentato anche da pubblicazioni quali AD di Ettore Mocchetti e Interni di Gilda Boiardi. Come tutti gli altri comparti, l'industria dell'arredo ha sofferto negli anni della Grande Crisi. Tuttavia, non è sparita dalla scena. Perché la sua forza creatrice e suoi valori di fondo propri dell'Italia che opera sono stati più forti delle dure leggi dell'immobilismo politico. Sapelli nel 2013 auspicava che il sistema sociale facesse la sua parte, sostenendo le piccole imprese attraverso una rifondazione dell'economia a partire dalla persona e dalla famiglia.

Per quanto vediamo, non è andata proprio così. Eppure, come dimostra la vitalità del settore del mobile (vera fucina di piccole realtà sia di prodotto finito e sia dell'indotto), il carattere costitutivo dell'imprenditore della porta accanto ha prevalso rispetto a tutte le inefficienze governative. Un Paese povero di buona politica ma ricco di spirito d'impresa. Che si merita tutti gli elogi del caso.

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