Economia

L'Italia va sulla Via della seta Ma i pericoli sono molti

Il governo, per primo in Europa, apre a un accordo con Pechino sulle nuove rotte. Subito lo stop degli Usa

L'Italia va sulla Via della seta Ma i pericoli sono molti

Scommessa Cina. Mentre prosegue lo scontro sulla Tav per la realizzazione di un'infrastruttura europea immaginata addirittura negli anni '90, il governo Lega-Cinquestelle apre alla «Via della Seta», un sistema di infrastrutture che potrebbe aumentare il traffico delle merci «made in China» nei nostri porti e, auspicabilmente, anche la rotta opposta verso Oriente. Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo economico, in un'intervista al Financial Times ha infatti dichiarato che l'Italia potrebbe essere pronta a firmare un accordo quadro con la Cina per lo sviluppo della Via della Seta in tempo per la visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping fissata il 22 marzo.

La Belt and Road Initiative (Bri) «è un'iniziativa della Cina per la Cina», ha però subito messo le mani avanti Garret Marquis, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, augurandosi che Pechino raggiunga gli standard commerciali internazionali.

In ogni caso qualora l'apertura italiana si concretizzasse, il nostro sarebbe il primo paese dell'Europa occidentale e del G7 a sostenere ufficialmente il programma Bri, un progetto infrastrutturale, economico ed energetico voluto dal Dragone e che coinvolge 65 Paesi, patria del 70% della popolazione mondiale, del 55% del Pil e del 75% delle riserve energetiche del Pianeta. Un piano colossale che si propone di unire Oriente a Occidente, tramite diversi corridoi compresi quelli marittimi e via terra verso il Vecchio Continente, che potrebbero avere i porti italiani come «terminali» europei. Non manca, tuttavia, chi ipotizza altre soluzioni, tra cui una ferrovia sulla rotta balcanica che porti le merci dal Pireo (già di proprietà cinese) nel Centro Europa o verso il porto Rotterdam (partecipato dalla cinese Cosco Shipping al 35% del capitale).

Negli ultimi anni Pechino ha investito quasi sei miliardi circa in scali e porti europei, compreso il terminal di Vado Ligure. «Vogliamo garantire che i prodotti made in Italy possano aver successo in Cina», ha detto Geraci precisando poi che si tratterebbe di un primo accordo «cornice» con l'indicazione di settori strategici «in cui favorire investimenti congiunti». Ma interlocutori evidenziano però, oltre alle opportunità, gli altrettanti numerosi rischi. Come Luigi Merlo, presidente di Federlogistica Conftrasporto, che dichiara a , Il Giornale: «Il pericolo è di confondere la necessità di aumentare lo scambio commerciale con la crescente posizione egemonica della Cina. Occorre evitare ad ogni costo la politica del carciofo, cedere, uno alla volta, partecipazioni, gestioni a lungo termine o investimenti in infrastrutture strategiche europee, porti, autostrade e scali, lasciando in definitiva le leve di comando a Stati terzi». Sul tema è intervenuto anche Paolo Uggè, vicepresidente di Confcommercio e di Conftrasporto, auspicando che l'Europa affronti con una visione unitaria lo sviluppo di una rete di infrastrutture tale da rendere la Ue competitiva a livello mondiale e quindi in grado di affrontare la Bri.

«Sarebbe bene ricordarsi che gli antichi romani hanno conquistato un impero costruendo strade», ha proseguito Uggè, sottolineando come un'apertura dell'Italia alla Cina in assenza di infrastrutture competitive in grado di connetterci all'Europa, a iniziare dalla Tav, rischia di portare a un'invasione del solo mercato italiano di merci asiatiche, con conseguenze sulla produzione e sulla occupazione.

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