Economia

L'Opec fa il miracolo, le Borse volano

L'Arabia abbassa la testa: si accolla metà dei tagli. Vince l'Iran, la Russia in aiuto

Rodolfo Parietti

L'Arabia Saudita abbassa la testa e consente all'Opec di partorire un miracoloso accordo - il primo in otto anni - sulla produzione di petrolio, che a partire da gennaio verrà tagliata di 1,2 milioni di barili al giorno, portando il tetto complessivo a quota 32,5 milioni. Trovata ieri nel quartier generale di Vienna, l'intesa dovrebbe essere corroborata dalla contestuale riduzione dell'output di 600mila barili da parte dei Paesi esterni al Cartello, con la Russia destinata ad accollarsene la metà a patto che tutti facciano la propria parte.

Uno scenario davvero inimmaginabile alla vigilia del vertice, quando il fallimento dei negoziati sembrava inevitabile, al punto da provocare ieri un vero e proprio rally delle quotazioni del greggio che ha spinto il Brent oltre i 50 dollari (+8,2%) e il greggio Usa a 49,25 dollari (+9%), con un effetto euforizzante anche sui mercati azionari (Milano ha chiuso in rialzo del 2,23, con Saipem decollata del 9,6% ed Eni del 3,8%).

L'obiettivo di raggiungere un agreement è stato trovato grazie al sacrificio di Riad. I sauditi hanno accettato di produrre lo sforzo maggiore in termini di contenimento della produzione, impegnandosi a garantire quasi la metà dei tagli. L'output dovrebbe calare da 10,58 milioni giornalieri di barili a 10,05. L'Iraq darà invece una sforbiciata da 100mila barili, il Venezuela di 95mila, mentre Emirati Arabia, Kuwait e Qatar forniranno un contributo complessivo di 300mila barili. Tagli di più modesta entità riguardano gli altri membri del Cartello. L'Indonesia si è invece autosospesa in quanto, diminuendo la produzione, tornerebbe un importatore netto di idrocarburi. Ma il punto cruciale dell'intesa è un altro. Il maggior elemento divisivo, ovvero il braccio di ferro tra Arabia e l'Iran, è stato alla fine rimosso a tutto vantaggio di Teheran che riparte dalla capitale austriaca con in tasca una vittoria pressoché totale. È infatti solo una piccola rinuncia quella che gli iraniani dovranno sopportare: potranno estrarre 3,78 milioni di barili al giorno, un numero di non molto inferiore rispetto a quei 4 milioni pretesi prima del summit viennese come compensazione per il periodo di ristrettezze causate dalle sanzioni dell'Onu.

Non sono ancora chiari i motivi che hanno spinto l'Arabia, finora assai intransigente nei confronti degli storici nemici, ad ammorbidire le proprie posizioni. Il pre-accordo di Doha, nell'aprile scorso, era infatti naufragato proprio per l'impossibilità di conciliare le opposte richieste dei due Paesi, ai ferri corti anche e soprattutto a causa dei conflitti in Siria e in Yemen, dove le potenze mediorientali sono schierate su fronti diversi. Ma le voragini aperte nelle casse saudite, a stento arginate con tagli al welfare e maxi-emissioni di bond, in seguito alla picchiata dei prezzi crollati a 26-27 dollari lo scorso gennaio, potrebbero aver convinto il Regno ad accantonare la strategia del pugno duro.

Almeno sulla carta, quella di Vienna è una vera e propria svolta che ha preso esperti e mercati in contropiede, al punto che tra gli analisti c'è già chi scommette su una risalita del petrolio a quota 60 dollari in poco tempo. Tuttavia, essendo storicamente noto lo scarso rispetto delle quote da parte dell'Opec (non a caso alcune fonti collocano a 38 milioni di barili al giorno la produzione reale), è evidente che la consistenza del patto andrà verificata nei prossimi mesi.

Già il prossimo 9 dicembre, data del meeting delle nazioni produttrici al di fuori del Cartello per la ratifica della promessa riduzione di 600mila barili, si potrà cominciare a capire se i Signori del petrolio stanno davvero facendo sul serio.

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