Economia

Altro che scettici ormai sono tutti Eurodelusi

La marcia silenziosa degli "eurodelusi"

Altro che scettici ormai sono tutti Eurodelusi

All'inizio c'erano solo gli euroscettici, considerati veri e propri untori dalla stampa bon ton, poi sono arrivati gli eurodelusi che, alla prova dei fatti, si sono ricreduti sulla costruzione messa in piedi tra Bruxelles e Strasburgo. L'ultima novità è che quella che, almeno in Italia, era considerata sempre una esigua minoranza, da tenere in soffitta, è diventata maggioranza. Cara Europa, così non va. E non lo dicono solo i sondaggi come l'ultimo elaborato da Ipsos Acri ma lo ribadiscono pure personaggi insospettabili tipo il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. Lo stesso Renzi che, fino ad agosto, organizzava summit europei con la Merkel e Hollande al largo di Ventotene, oggi ha capito che il vento è cambiato e fa la voce grossa con gli eurocrati che si permettono di bocciare la nostra legge di Stabilità. Basta rileggere le relazioni tenute all'ultima Giornata del Risparmio per rendersi conto della nuova realtà: ora si insiste molto, anche per trovare un capro espiatorio alla crisi delle nostre banche, sul fatto che la Ue si è trasformata in una specie di labirinto selvaggio di norme e disposizioni burocratiche. È sufficiente ricordare un solo dato: nei primi sei mesi di quest'anno, sono stati emanati, nei settori bancario ed assicurativo, 630 provvedimenti, con una media di cinque per ogni giorno lavorativo. Una vera e propria babele di leggi e leggine. Anche gli europeisti più convinti sono, adesso, costretti a chiedere una nuova democrazia economica e civile del vecchio continente se non si vogliono disperdere completamente quegli ideali che erano alla base del progetto comunitario. Insomma, ci sono voluti otto anni di crisi economica e finanziaria senza precedenti per rendersi finalmente conto che chi aveva osato alzare il ditino contro lo status quo, aveva, in fondo, qualche ragione. Un delitto di lesa maestà criticare quel guazzabuglio comunitario, soprattutto quando a Palazzo Chigi c'erano premier come Romano Prodi e Mario Monti che erano unti dal Signore per avere frequentato a lungo l'esclusivo club europeo. Ricordiamo tutti le bottiglie di Champagne stappate nel Belpaese quando il professore emiliano riuscì a convincere gli altezzosi partner a farci diventare membri di diritto dell'euro. Sembrava che avessimo vinto un premio favoloso come quel signore calabrese al Superenalotto. Eppure sarà difficile convincere gli ultimi aficionados di un'Europa che non c'è più. Basterebbe rivedere le registrazioni di alcuni tg o leggere le cronache di molti giornali, all'indomani di Brexit. In tanti sostennero, allora, che i sudditi inglesi, votando per l'uscita dalla Ue, non sapevano quello che facevano. Eravamo andati a letto sicuri che Londra non avrebbe voltato le spalle a Bruxelles: continuavano a ripetercelo, davanti ai teleschermi, autorevoli commentatori che ci sciorinavano sondaggi su sondaggi in tal senso. Poi, alla mattina del giorno dopo, imbarazzati giornalisti furono costretti a fare marcia indietro: tutta colpa degli anziani e oscurantisti farmers del Sussex che non avevano a cuore il futuro dei giovani e brillanti ragazzotti della City.

Un po' come succederà il 5 dicembre se il «No» dovesse vincere al referendum costituzionale: la responsabilità sarà solo di quel matusalemme di De Mita e di tutti i suoi coetanei che mettono il bastone tra le ruote agli eletti del giglio fiorentino.

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