Economia

Il mini-petrolio spaventa gli energetici

Con questi prezzi, profitti Eni a rischio nel medio periodo. Bruciati 11 miliardi di valore delle quote dello Stato

Il mini-petrolio spaventa gli energetici

Il petrolio in caduta libera sfonda la soglia dei 45 dollari al barile. Un nuovo record che (nonostante la mini correzione registrata a fine seduta) sta scompaginando il mercato dell'oro nero e, a cascata, diversi settori che iniziano ad essere contagiati da un calo tanto inatteso. L'onda lunga del greggio cheap si abbatte poi sui bilanci governativi di quei Paesi esportatori che, negli ultimi anni, hanno improntato le politiche fiscali in funzione di ricavi dall'export petrolifero. O di quelli, come l'Italia, che puntavano alla vendita di quote si società appartenenti al settore per far quadrare i conti in Europa.

Guardando ai numeri, la giornata di ieri si è aperta con il greggio che ha aggiornato nuovi minimi da metà marzo 2009, sia per quanto riguarda il Wti (a 44,43 dollari al barile) sia per il Brent (45,23). A pesare sono state le dichiarazioni del ministro dell'Energia degli Emirati Arabi Uniti, Suhail Mzroui, secondo cui l'Opec non è più in grado di «proteggere il prezzo del petrolio» perché c'è stata «una sovrapproduzione di greggio». Una chiara accusa agli Usa e al suo shale gas che ha confermato, ancora una volta, l'immobilismo arabo dinnanzi a una possibile correzione dei prezzi. E innescato le vendite. Con queste prospettive, le major internazionali sono sotto osservazione da settimane.

Per quanto riguarda l'Italia, Eni aveva indicato in 45 dollari al barile il livello di prezzo che garantisce il break-even. Ma al momento non sembrano esserci rischi reali visto che, per infrangere il pareggio, questo livello dovrebbe mantenersi tale per mesi. Scenario per ora non previsto, ma che non ha risparmiato agli analisti di S&P Capital IQ di rivedere il target price di Eni a 10,4 euro (da 13 euro) con rating «strong sell». Quale impatto sta avendo comunque questo crollo dei prezzi sul Cane a sei zampe sarà chiarito a metà febbraio quando la società svelerà la strategy. Sui numeri del gruppo pesa anche lo stop alla cessione di Saipem che (rimbalzo di ieri a parte) è sui minimi da 10 anni anche a causa dello stop al progetto South Stream.

A livello più generale il petrolio preoccupa anche il settore energetico. Il calo delle quotazioni sta, infatti, provocando la caduta dei prezzi e facendo precipitare il Vecchio Continente nella deflazione. Uno spettro per energetici come Enel e Terna, legati a doppio filo alla dinamica prezzi-consumi. Il corso delle quotazioni del petrolio si potrebbe, infatti, tradurre in risparmi per la bolletta energetica. Per l'Italia c'è poi un altro danno collaterale, quello legato alle privatizzazioni. Il governo aveva in programma, infatti, di mettere sul mercato quote di Eni ed Enel.

Gli impegni assunti nel documento di Economia e Finanza parlavano chiaro: in vendita lo 0,7% del Pil ogni anno (poco più di 11 miliardi) per tre anni consecutivi. Ma la crisi petrolifera ha mandato in fumo i collocamenti. Si pensi che il 30,3% dell'Eni, rispetto ai massimi del 2014, ha perso circa 7 miliardi di valore e il 31,2% dell'Enel oltre 4 miliardi. Totale: 11 miliardi di valore (proprio lo 0,7% del Pil) andati in fumo.

E all'orizzonte «c'è anche la possibilità - spiega un analista - che nonostante le rassicurazioni, le società cosiddette oil and energy non possano mantenere gli attuali dividendi, ovvero che l'azionista Tesoro veda ridursi l'assegno annuale».

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