Economia

La missione italiana di SuperMario

La missione italiana di SuperMario

di Giancarlo Mazzuca

Mario Draghi ribattezzato Super-Supermario dopo il fallimento di Supermario Monti è un vecchio pallino di Berlusconi che, come primo atto, lo lanciò in orbita al vertice della Bce. In seguito, nel 2013, Silvio l'ha indicato come candidato ideale per il Quirinale. Ma il banchiere «uber alles» era appena approdato a Francoforte e, allora, avrebbe rinunciato a malincuore alla guida della Bce. Ma oggi la situazione potrebbe essere diversa perché la scadenza del suo mandato (2019) non è così lontana e, ai piani alti di Eurotower, l'uomo che dovrebbe detestare il loden visti i precedenti, è costretto a subire il fuoco amico e non solo: tanti banchieri coalizzati contro di lui per favorire una sua uscita anticipata. Ecco perché la proposta di Berlusconi, fatta in questi giorni, di candidarlo come possibile premier, dopo Gentiloni, nel caso non ci fosse una maggioranza di governo e si dovesse ricorrere a una grande coalizione, piace a molti: soltanto il manovratore dell'euro negli anni della grande recessione e pochi altri con lui sarebbero in grado di mettere fine alla tempesta che sta spazzando la Penisola. Anche perché lui è considerato un italiano sui generis, tanto che negli Stati Uniti lo chiamavano «The unitalian», un «mangia- maccheroni» atipico. Pur essendo, infatti, nativo di Roma (studiò dai gesuiti), Draghi ha girato il mondo raccogliendo allori dappertutto. Dal Mit di Boston - allievo di un altro italiano «all stars», il premio Nobel Franco Modigliani che ricordo per un'intervista al «Giornale», in via Negri - è, così, saltato subito alla Banca Mondiale come direttore esecutivo. Negli anni Novanta, tornato nel Belpaese da direttore generale del Tesoro, diventa lo stratega, con Giuliano Amato a Palazzo Chigi, delle privatizzazioni: è lui il timoniere del Britannia, il panfilo della regina Elisabetta, che ospitò tanti banchieri internazionali per convincerli a comprarsi una fetta del made in Italy. Poi, un altro incarico all'estero come vicepresidente di Goldman Sachs. Solo uno step perché subito dopo- secondo la prassi consolidata di compiere un'esperienza di lavoro a casa e una all'estero - sbarcò in via Nazionale. governatore della Banca d'Italia, per raddrizzare la situazione dopo la sfortunata parentesi di Fazio. Finito il mandato, eccolo emigrare di nuovo: questa volta direttamente in Germania, alla Bce, dove ha gestito la difficilissima crisi greca e tutto il terremoto europeo. Un tipetto che è stato capace di mettere i bastoni tra le ruote a Frau Merkel e ai tedeschi (in casa loro), non dovrebbe certo avere timore ad impelagarsi, semmai ce ne fosse bisogno, in una specie di grande Koalition all'italiana. Sarà pure considerato l'«unitalian» per eccellenza, ma, in fin dei conti, lui è sempre un romano de Roma. Qualche anno fa, l'avvicinai nel corso di un premio giornalistico a Milano, e mi confessò, in versione «drago buono», di riuscire a rilassarsi alla sera, dopo una giornata infernale, guardando alla tv Striscia la notizia sul Canale 5. Certo, ci saranno pure state le «veline» a rallegrare la sua vista, ma quello era il programma giusto, mi disse, per mettergli il buonumore. Con lo spettacolo che manda oggi in onda il Palazzo, Draghi avrebbe bisogno, per distendersi, di uno Striscia la notizia H 24.

Senza neppure gli spot.

Commenti