Economia

Mnuchin: "Dollaro? Solo un malinteso"

Euro ancora sopra 1,24: con il cambio Washington tiene Berlino sotto tiro. Dopo la sfuriata di Draghi il Tesoro Usa prova a rimediare

Mnuchin: "Dollaro? Solo un malinteso"

Alan Greenspan, per 18 anni alla guida della Fed, è stato un finissimo comunicatore. A volte, però, si lasciava sfuggire una parolina di troppo. Quando capitava, la giustificazione era sempre la stessa: «Sono stato male interpretato». Steven Mnuchin, segretario al Tesoro Usa, è un suo degno epigono. «Le mie dichiarazioni sul dollaro sono state completamente decontestualizzate - ha spiegato ieri da Davos - . Erano una semplice affermazione di un dato di fatto sull'impatto di un dollaro debole nel breve termine. Non stavo facendo un endorsement, nè stavo incoraggiando in alcun modo» la fragilità del biglietto verde.

Trovato il colpevole nel solito giornalista malaccorto, la grana valutaria resta comunque sulla scena, con l'euro ancora arrampicato ieri oltre la vetta di 1,24. All'alibi di Mnuchin i mercati sembrano credere poco. E danno invece più peso alla sfuriata con cui, giovedì scorso, Mario Draghi ha accusato l'America di aver contravvenuto agli impegni presi nella sessione autunnale del Fmi (ovvero, nessun commento sui rapporti di cambio) e, nella sostanza, di manipolare i cambi. Per quanto l'euro iper-muscolare sia una carta che il presidente della Bce può calare sul tavolo per mandare a vuoto il pressing di chi, Germania in testa, vuole portare rapidamente il quantitative easing sul binario morto, i rischi (possibile impatto su export - e dunque sulla crescita - e sui prezzi) superano ampiamente i vantaggi. Lo conferma proprio l'insolita durezza con cui Draghi ha replicato alle parole di Mnuchin. Il quale, da uomo esperto qual è, avrebbe dovuto opporre il più classico dei «no comment» a domande sul dollaro.

Invece, l'ex Goldman Sachs ha preferito palleggiare in una stanza piena di cristalli. Rompendoli. Forse, era proprio ciò che voleva. La toppa che ha messo ieri alle sue affermazioni di metà settimana è un atto dovuto, ma non cambia la sostanza: l'America non pare disposta a fare sconti sul fronte valutario. Il Trump accomodante visto a Davos è sempre lo stesso che all'inizio del 2017, quando euro e dollaro flirtavano con la parità, aveva accusato la Germania di usare la moneta unica, «un marco travestito», per «sfruttare Usa e Ue». Tra le montagne svizzere, il presidente Usa non ha mai pronunciato la parola «multilateralismo», valore messo al centro del suo discorso mercoledì dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il sospetto, quindi, è che l'inquilino della Casa Bianca veda proprio in quel multilateralismo il cavallo di Troia che Berlino intende continuare a sfruttare per gonfiare il suo surplus interno a spese dei partner commerciali e per non investire neppure sui suoi lavoratori, ai quali non riconosce salari adeguati.

«In questo momento una guerra valutaria è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno», ha ammonito Benoit Coeuré, componente del board della Bce. Giusto.

Ma trovare un equilibrio tra Europa e America non sarà impresa facile.

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