Economia

Monte dei Paschi batte cassa: nuovo aumento da 2,1 miliardi

Niente aiuti di Stato, Siena vuole coprire il «buco» degli stress test con la ricapitalizzazione. La spinta aggiuntiva delle cessioni

Il Monte dei Paschi coprirà «integralmente» il deficit patrimoniale da 2,1 miliardi, emerso dopo gli stress test della Bce, attraverso un aumento di capitale. È quanto ha reso noto la banca ieri sera spiegando che dopodomani, mercoledì, si riunirà il consiglio di amministrazione per deliberare il capital plan da sottoporre alla vigilanza della Bce e che «non saranno richiesti aiuti di Stato».

L'istituto guidato da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola ha concluso così una settimana tribolata che l'ha vista cedere il 40% in Borsa. La decisione conferma le indiscrezioni emerse negli ultimi giorni che indicavano il Monte come deciso a privilegiare la strada della ricapitalizzazione. Sull'operazione ci sarebbe già la disponibilità di un consorzio di garanzia a cui parteciperebbero molte delle banche che hanno garantito la precedente ricapitalizzazione. Sul mercato circolano, tra gli altri, i nomi di Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley, Mediobanca, oltreché degli advisor Ubs e Citigroup.

Oltre al «nocciolo duro» composto da Fintech (4,5%) Fondazione Mps (2,5%) e Btg Pacrtual (2%) si sarebbe registrato l'interesse di alcuni fondi Usa tra i quali Kkr e Jc Flowers (che in Italia controlla già Equita e le assicurazioni Eurovita).

L'esclusione degli aiuti di Stato, si legge nella nota, si desume dall'intento di non procedere alla conversione anticipata dei Monti-bond (che avrebbero presupposto un ingresso del Tesoro nell'azionariato). Analogamente, il capital plan conterrà «ulteriori misure non onerose e non diluitive tra le quali la cessione di asset finanziari». Restano sempre in pista, infatti, la cessione di Mps Leasing e di Consum.it, oltreché la vendita di crediti non performing.

A questo punto è da escludere un intervento delle Fondazioni riunite nell'Acri, guidata da Giuseppe Guzzetti, a rilevare i 750 milioni di Monti-bond ancora detenuti dal Monte. Un'operazione dal valore simbolico poiché avrebbe rappresentato uno «schiaffo morale» degli Enti, penalizzati dalla Legge di Stabilità sulla base imponibile del monte dividendi, al governo che, tramite il ministro Padoan, ha deciso di non intervenire a sostegno di Mps.

Meno complessa, almeno da un punto di vista formale, sebbene ugualmente preoccupante pare al momento la situazione di Banca Carige. La Bce ha stimato un fabbisogno di capitale di 814 milioni. L'istituto genovese guidato dall'ad Piero Montani ha già chiuso con il fondo Usa Apollo la cessione delle controllate Carige Vita e Carige Assicurazioni che, all'inizio del 2015, porteranno in cassa 300 milioni. Un consorzio guidato da Mediobanca garantirà un aumento da 500 a 650 milioni di euro. Sono poi possibili le dismissioni della controllata Creditis e del private banking di Banca Cesare Ponti.

Il problema, in questo caso, è determinato dalle divergenze strategiche tra il management della banca e il suo primo azionista, la Fondazione Carige che detiene il 19,5% e non ha intenzione di diluirsi. Ecco perché, dopo aver segnalato ai vertici di procedere eventualmente a un'integrazione (e/o a una partnership) prima di lanciare la ricapitalizzazione, il presidente dell'ente, Paolo Momigliano avrebbe contattato il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi.

La disponibilità a un rilancio gestionale dell'istituto ligure c'è tutta, ma al momento l'ex presidente del cdg di Bpm attende che si faccia chiarezza tra Carige e il suo azionista.

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