Economia

Anche l'olio toscano parlerà cinese

Al colosso Bright Food vanno i marchi Sagra e Berio. E gli agricoltori lanciano l'allarme

Anche l'olio toscano parlerà cinese

Non si ferma lo shopping di Pechino: ora si compra anche l'olio toscano. Bright Food, di proprietà dello Stato cinese, ha infatti annunciato di aver acquisito la maggioranza dell'italiana Salov, che controlla i marchi Sagra e Berio e ha un giro d'affari da 330 milioni di euro. L'intesa di massima era stata già trovata a fine luglio, ma ora si è raggiunto il perfezionamento dell'accordo. Il colosso asiatico ha un giro di affari di 17,3 miliardi di dollari e di recente ha acquisito l'inglese Weetabix, l'australiana Manassan Food e l'israeliana Tnuva. E ora si mette «in pancia», attraverso la sussidiaria Yimin, la maggioranza del gruppo oleario toscano, ceduta dagli storici azionisti della famiglia Fontana, che tuttavia mantiene quote di minoranza.

«Il nostro obiettivo - commenta un portavoce del gruppo Bright Food - è di mantenere l'identità e la tradizione italiana della Salov così che possa rimanere fedele alla propria missione di selezionare, produrre e distribuire la migliore qualità di olio nel mondo, mantenendo la produzione in Italia. L'accordo che abbiamo siglato proietta l'azienda verso un'ulteriore fase di sviluppo, grazie alle opportunità di crescita rappresentate dal mercato cinese. Questo ci consente fin d'ora di garantire a tutti i dipendenti della Salov una nuova fase di sviluppo con ottime prospettive di crescita».

Ma gli agricoltori italiani sono preoccupati. La Coldiretti sottolinea che quest'ultima operazione porta a oltre 10 miliardi il valore dei marchi storici dell'agroalimentare italiano passati in mani straniere dall'inizio della crisi, che ha favorito una escalation nelle operazioni di acquisizione del made in Italy a tavola.

«I grandi gruppi multinazionali, che fuggono dall'Italia nella chimica e nella meccanica - commenta l'associazione - investono invece nell'agroalimentare nazionale perché, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni».

Proprio di recente altri storici marchi di olio italiano, Carapelli e Sasso, già in pancia alla spagnola Deoleo, sono passati al fondo inglese di private equity Cvc. «Ormai nel settore succede sempre più spesso: da Bertolli a Sasso, da Garofalo a Gancia, da Parmalat a Pernigotti, da Buitoni a Galbani, sono anni che assistiamo allo «scippo» dei nostri marchi d'eccellenza da parte di compagnie straniere. Prima erano soprattutto spagnoli e francesi, ora sono arrivati anche i russi e i cinesi», sostiene la Confederazione italiana agricoltori. «Il nostro Paese non può permettersi di perdere così tanti gioielli di famiglia. Deve darsi un progetto sul quale montare la catena del valore per creare ricchezza e posti di lavoro.

Ogni indugio drena risorse dal nostro Paese verso l'estero rendendo l'Italia sempre più povera» afferma David Granieri, presidente di Unaprol, l'associazione dei produttori di olio.

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