Economia

Ora lo Stato tagli le spese

Ma siamo proprio così convinti che le idee neoliberali abbiano fallito alla prova della contemporaneità? È quanto vorrebbero farci credere i nostalgici del keynesismo. Dicono: il modello liberista ha prodotto la Grande Crisi finanziaria che ha messo il mondo in ginocchio. Sono maestri, loro, nell'arte di gettare via il bambino con l'acqua sporca.

Non sarò certo io a difendere le degenerazioni attuate dalla finanza globale. Da antico sostenitore dei valori insiti nell'imprenditoria, specie quella più piccola e bistrattata, chi si arricchisce a colpi di speculazione non rientra nelle mie simpatie. Detto ciò, la risposta alla crisi non può venire da incauti ritorni a logiche stataliste. La politica dell'accentramento con il suo dispiegarsi di regole è impossibile che possa portare vantaggi a famiglie e imprese. L'Italia che sta vivendo una stagione segnata dall'affermarsi quotidiano di un capitalismo di Stato inconcludente e vessatorio per i cittadini è lì a dimostrarlo. I problemi ci sono, numerosi e sempre più preoccupanti; tuttavia la risposta non può essere affidare le proprie speranza allo Stato rifugio.

Lo Stato ingabbia, non libera. Si indebita secondo dopo secondo sulle spalle dei contribuenti. È la sua ragion d'essere: il disordine dei conti per autoalimentarsi. Con la sola preoccupazione di assicurare privilegi a chi merita di far parte della sua corte. Tagliare le spese della macchina pubblica è la prima urgenza.

L'azienda Italia ha bisogno di advisor liberali, lasciati per davvero liberi di verificare le cause e le responsabilità del profondo rosso delle realtà pubbliche. E, dopo un'attenta analisi delle voci di spesa, la libertà di prendere decisioni, anche drastiche. Come avviene nelle imprese private. Con i giusti «ammortizzatori» a carico di tutti noi per chi resta senza lavoro. In fondo noi abbiamo eletto chi ci governa anche non andando a votare.

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