Economia

Popolari venete al rush finale adesioni dei soci vicine al 70%

L'obiettivo è di eliminare dai bilanci 4-5 miliardi di possibili risarcimenti per accedere agli aiuti di Stato

Popolari venete al rush finale adesioni dei soci vicine al 70%

La corsa a fare pace con gli azionisti «azzerati» delle ex popolari venete terminerà oggi alle 18.45 quando nelle filiali verrà suonato il «gong» per le adesioni all'offerta di transazione messa sul piatto dai vertici dei due istituti. Nella sola giornata di ieri avrebbe aderito circa il 5% delle azioni coinvolte consentendo di raggiungere la soglia del 70%, inferiore all'80% indicato inizialmente come obiettivo ma sufficiente per disinnescare almeno in parte il rischio legato ai risarcimenti. Al netto di un 2% di soci irrintracciabili, ci sarebbe ancora una platea di indecisi pari al 14% e non è esclusa una mini-proroga dell'offerta a sabato. L'iniziativa di ristoro, ricordiamolo, prevede un riconoscimento economico di 9 euro per azione Pop Vicenza, e un indennizzo forfettario del 15% della perdita teorica sofferta dagli azionisti di Veneto Banca in cambio delle rinuncia a fare causa. I due ad, Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, hanno al momento incassato adesioni di peso come quella delle Fondazioni CariPrato, Banco di Sicilia e Roi, oltre alla «benedizione» della Diocesi vicentina. Le fila saranno comunque tirate il 28 marzo, quando si riuniranno i cda sui conti di entrambi gli istituti che dovranno stimare gli accantonamenti necessari.

Il futuro dei due istituti non è solo nelle mani dei soci ma anche in quelle dell'Europa. Ieri, il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ha incontrato la responsabile dell'Antitrust Ue, Margrethe Vestager ma il confronto si è concentrato su Mps e non sulle venete. «Ora sta alla Bce decidere la sostenibilità delle banche, e poi si passerà al dialogo con la Commissione», ha infatti puntualizzato Padoan. Gli sceriffi di Francoforte che vigilano sul rispetto dei coefficienti patrimoniali dovranno indicare il fabbisogno di capitale delle due banche - prese singolarmente, benché siano promesse spose - per fissare l'importo dell'aumento oggi stimato in 4,7 miliardi, compresa la conversione di 1,2 miliardi di bond subordinati (ma non dei circa 3 miliardi di bond senior che verrebbero messi al sicuro dalla garanzia pubblica). Il dossier è all'esame della Vigilanza che potrebbe esprimersi entro questa settimana. Poi inizierà il braccio di ferro con i commissari di Bruxelles cui, invece, è affidato il compito di controllare che le due banche possano essere davvero considerate «solvibili» prima di dare l'ok alla ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato.

Le nuove regole europee parlano chiaro: ai sensi della direttiva Brrd sulla gestione delle crisi, i soldi dei contribuenti non possono servire per ripianare le perdite, pregresse o attese, come quelle portate dai contenziosi legali. A quanto ammonta il rischio da «sminare»? Partendo dal fatto che le due banche hanno stanziato 660 milioni per i «ristori» a fronte del 15% del valore perduto, il numero di transazioni raggiunte deve essere tale da consentire di liberare il bilancio da 4-5 miliardi di possibili risarcimenti. Se sarà raggiunta la soglia del 70% delle adesioni, resterebbe poco più di un miliardo di possibili perdite da coprire con accantonamenti. Ma cosa succederà se Bruxelles negasse l'accesso agli aiuti statali (a entrambe o solo a una delle due banche)? In quel caso scatterebbe il bail in: a partecipare alle perdite sarebbero, nell'ordine, azionisti, obbligazionisti subordinati, i creditori senior e i correntisti che abbiano sui conti più di 100mila euro. Se invece Bruxelles accenderà il semaforo verde, il Tesoro potrà diventare il nuovo socio di maggioranza sottoscrivendo azioni della banca di nuova emissione e applicare il meccanismo di ripartizione degli oneri, il cosiddetto burden sharing.

I soci verrebbero diluiti e le obbligazioni subordinate svalutate e convertite in capitale.

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