Economia

Sale l'occupazione Usa ma è un fuoco di paglia

A ottobre +261mila posti. Il calo atteso in inverno. In Asia borse toniche per lo stop ai lockdown cinesi

Sale l'occupazione Usa ma è un fuoco di paglia

Si sente il classico stridio da gessetto sulla lavagna di fronte ai 261mila nuovi posti di lavoro creati in ottobre negli Stati Uniti. Dato oltre le attese, sintomo per alcuni della resilienza dell'occupazione a stelle e strisce ed ennesima prova offerta alla Federal Reserve della necessità di proseguire con le strette ai tassi. Soprattutto, un assist a porta vuota per Joe Biden a una manciata di giorni dal voto di mid-term. Qualcosa però non quadra, poiché il tasso di disoccupazione è balzato inaspettatamente dal 3,5% al 3,7%. Questa discrepanza si spiega con i due diversi metodi di rilevazione impiegati. Il primo, destagionalizzato, è quello del Bureau of Labor statistics (Bls); l'altro, è quello dell'Household Survey, ovvero l'indagine condotta fra le famiglie, considerata più affidabile. Qui i numeri raccontano un'altra storia: il numero degli americani a spasso è aumentato il mese scorso di 306mila unità (totale, 6,1 milioni), mentre il numero dei lavoratori occupati ha segnato un -328mila. Non è un fatto episodico. Anzi, la forbice fra i due metodi si va allargando col passare dei mesi. Dallo scorso marzo e fino alle fine di ottobre, il Bls segnala la creazione di quasi 2,5 milioni di posti, mentre per l'Household Survey il saldo è appena positivo (+150mila). Ciò che balza ancora più all'occhio è il crollo dell'occupazione di ottobre, provocato da un massiccio calo degli impieghi a tempo pieno. Un fenomeno che risale a marzo (da allora, -490mila occupati), compensato da un modesto aumento dei posti di lavoro a tempo parziale. Di fatto, col deterioramento dell'economia stanno saltando i posti fissi e meglio retribuiti.

Questa dinamica offre una testimonianza più puntuale su quanto sta accadendo sul fronte occupazionale. «Massiccia ondata di licenziamenti invernali», era ieri il titolo di un'analisi di Axios. «I licenziamenti e il blocco delle assunzioni si stanno diffondendo a cascata nel settore tecnologico - il commento - , dopo che gli anni del boom hanno cullato molti datori di lavoro e dipendenti in un falso senso di sicurezza». Twitter, con i 3.700 layoff decisi da Elon Musk non appena salito sulla plancia di comando, è solo la punta dell'iceberg del malessere delle ex regine della Corporate America. La catena di tagli al personale si va allungando giorno dopo giorno. I più recenti riguardano Lify (-13% della forza lavoro), Opendoor (-18%), Stripe (-14%) e Chime (-12%).

Naturalmente, si tratta di un panorama fosco che la Casa Bianca non ha nessun interesse ad ammettere. A dicembre, una volta superate le forche caudine delle elezioni di metà mandato, è verosimile che vengano ritoccate al ribasso le stime del Bls. Le uniche di cui Wall Street tiene conto.

Intanto, si fa il tifo per la fine in Cina di quella politica di tolleranza zero al Covid che ieri ha reso euforiche le Borse asiatiche (5,3% Hong Kong, +2,4% Shangai).

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