Economia

Santander piange Don Emilio L'eredità Botín alla figlia Ana

Lo sportivo che amava la Ferrari e la filosofia cinese ha trasformato il Banco basco in un colosso. Protagonista anche in Italia, da Mediobanca all'affaire Antonveneta

Santander piange Don Emilio L'eredità Botín alla figlia Ana

Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo primo ottobre Emilio Botín, il banchiere con l'anima del pilota di Formula 1, che ha fatto del Banco Santander il big del credito europeo con 200mila impiegati e 1.400 miliardi di fondi raccolti, catapultando la Spagna al centro degli interessi della finanza, anche italiana.

Originario di Santander e appartenente a una famiglia di tre generazioni di banchieri, Emilio Botín è stato stroncato ieri da un infarto. La prima volta che mise piede nella banca, nel 1958, aveva 24 anni, ma dovette aspettare quasi trent'anni per «ereditare», dal padre, la presidenza del Banco. Farsi strada dopo il nonno e il padre, entrambi - per giunta - con nome Emilio, è stata la molla della sua carriera. Settantanove anni - vissuti all'insegna dell'educazione gesuita - e condivisi con la moglie Paloma O'Shea che gli ha dato sei figli (a cui lascia un patrimonio di 1,7 miliardi di dollari) e un «erede» tra tutti: quella Ana Patricia che da anni lavora al fianco del padre e che, come lui, si ritrova oggi a ereditare - alla sua stessa età e dopo una lunga «gavetta» - lo scettro del Santander. Spezzando, oltretutto, una lunga tradizione al maschile.

«Don Emilio», come amavano chiamarlo gli amici, era persona rigorosa, parsimoniosa nel cibo e con una grande passione sportiva: la Formula 1 e la Ferrari (prima di caccia e golf, suoi passatempi). Non per altro, uno dei primi messaggi di cordoglio è arrivato ieri proprio da Fernando Alonso con un tweet: «Mercoledì ho cenato con lui, avevamo progettato un giro in bici a Singapore, ci lascia un amico, un grande amico». Con la Ferrari (di cui il Santander è storico sponsor) Botín condivideva passione e colore: il rosso era sempre nel suo outfit, nonchè il cuore del suo brand bancario. Ispirato da «L'arte della guerra» del cinese Sun Tzu, il «don» ha conquistato con prudenza e fiuto quote di mercato una dopo l'altra. Dopo essere diventato un peso massimo nella penisola, il Santander ha superato i Pirenei verso Francia, Italia, Germania, Polonia, Scandinavia, stabilendosi come campione bancario in Cile, Brasile e Messico. Il vero cambiamento di dimensione arriva nel 1993, quando Botìn prende il rischio di assorbire il gigante in crisi «Banesto». Alcuni anni più tardi cresce ancora e si fonde col Banco Central Ispano (BCH). Figura controversa per i detrattori, secondo cui Botìn è stato uno dei simboli delle banche che hanno trascinato la Spagna nella crisi economica; per altri, l'artefice della crescita internazionale dell'istituto e della finanza spagnola. Presso la famiglia non si è mai fatta politica, ma non si ignora dove soffi il vento: gli affari hanno sempre dipeso da una prossimità col potere. Filosofia che avrebbe avvicinato Botín anche all'Opus Dei. Botín ha avuto un ruolo di primo piano anche nella finanza nostrana, anche attraverso Ettore Gotti Tedeschi (suo storico asso in terra italiana). Socio di Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo, l'istituto spagnolo è stato al centro della vendita (nel 2007 per oltre 10 miliardi) di Antonveneta a Mps. Dossier oggetto di una lunga inchiesta da parte della magistratura sul sospetto di un possibile accordo per distribuirsi la «plusvalenza» della vendita. Santander ha anche giocato un ruolo nell'acquisizione, pagata a caro prezzo, del gruppo Recoletos da parte di Rcs. In tempi recenti, infine, Botìn è stato processato per comportamento non etico. Secondo El Pais, oggi Botín si sarebbe dovuto occupare della presentazione di un quadro di Velázquez restaurato con i fondi del banco. Arte e architettura erano al centro dei suoi investimenti.

Tra questi, il Booty Center dell'architetto Renzo Piano, tanto caro al «don», vedrà la luce solo nel 2015.

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