Economia

Il Senato Usa inchioda le tre big di Wall Street

Mercato delle materie prime manipolato Buco da 15 miliardi in caso di perdite

I lupi di Wall Street perdono il pelo, ma non il vizio. Sembra non essere servito a nulla il crac di Lehman Brothers, né la lezione del virus subprime, con i suoi cascami tossici propagati all'economia globale: le vecchie pratiche affaristiche, borderline e talvolta palesemente illegali, continuano. Come prima, più di prima. È un rapporto del Senato Usa, basato su uno studio della Fed di New York, a inchiodare Goldman Sachs, Jp Morgan e Morgan Stanley, le tre merchant bank più potenti al mondo. Accuse pesanti come macigni che scoperchiano altri vasi di Pandora nel mondo della finanza Usa, e gettano ombre su chi avrebbe il compito di vigilare.

Questa volta, a finire sotto la lente non sono però eventuali attività di insider trading sul mercato azionario, ma i pesanti condizionamenti che i tre istituti avrebbero esercitato su quello delle materie prime. Come? Non solo grazie alla tradizionale attività di analisi e valutazione, palesemente market sensitive , ma anche e soprattutto per avere acquisito il controllo di alcune società nel settore delle commodity . Con ciò violando palesemente la norma stabilita dalla Fed per porre fine a quel Far West senza regole durato fino agli anni '90, che impedisce a una banca di possederne quote superiori al 5% del capitale. Un tetto abbondantemente sfondato nel 2012 da Jp Morgan, i cui beni fisici - stando al rapporto - ammontavano al 12% del capitale. Questo peso così prepotente in aree molto delicate non è privo di conseguenze: Goldman Sachs, per esempio, ha messo le mani nel 2010 su Metro International Trade Services, un colosso dell'alluminio quotato in Borsa, per poi gestirne i magazzini a Detroit con misure non proprio ortodosse, al punto da ritardare la fornitura del metallo. Lo scopo: far lievitare i prezzi pagati dai consumatori.

C'è però anche dell'altro. Il rapporto, lungo ben 400 pagine, vede inoltre incluse nelle indagini anche nove casi in cui le banche avrebbero acquistato non solo grandi pacchetti di commodity pure, ma anche circa 100 navi cisterna (Goldman Sachs), 55 milioni di barili di petrolio stoccato (Morgan Stanley) e 31 centrali elettriche (Jp Morgan). Così, si arriva all'accusa più allarmante, quella che sostiene che le tre merchant, più quattro gruppi finanziari non identificati, sono a corto di una cifra fino a 15 miliardi di dollari per coprire «perdite da scenari estremi» proprio a causa dei rischi assunti con gli investimenti in greggio, metalli e attività energetiche.

La chiusura è affidata a una sinistra similitudine: la loro posizione è tanto vulnerabile quanto quella del colosso petrolifero Bp, al centro di cause legali e di multe miliardarie come risultato della «Marea nera» di greggio che si riversò nel 2010 nel Golfo del Messico in seguito all'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon.

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