Economia

Serve un fronte comune contro le imposte

I parlamentari d'accordo con l'obiettivo di combattere un fiscalismo esagerato devono prendere coscienza che il tempo stringe, dato che il punto nodale di una svolta non può che essere la legge di Stabilità in discussione al Senato, che si conta di trasmettere blindata alla Camera

La pagina del modello F24 alla voce Imu
La pagina del modello F24 alla voce Imu

Non si può prescindere dal costituire un fronte comune anti-tasse. I parlamentari d'accordo con l'obiettivo di combattere un fiscalismo esagerato devono prendere coscienza che il tempo stringe, dato che il punto nodale di una svolta non può che essere la legge di Stabilità in discussione al Senato, che si conta di trasmettere blindata alla Camera. È un fatto che il fiscalismo ha da tempo superato il limite della tollerabilità, imponendo addirittura ai cittadini imposte, come la Tasi, brutta copia dell'Imu. La strada maestra sarebbe invece una vera Service tax, lasciando libertà ai Comuni sulle aliquote dei parametri nazionali, fissando solo un riferimento per i massimi ai contenuti dei loro bilanci, dando il via al vero federalismo.
Oggi invece sulla casa regna un'incertezza devastante relativamente ai versamenti e al peso fiscale delle molteplici imposte. Unificare i primi, sarebbe un gioco da ragazzi, eppure non ci si pensa nemmeno, i sudditi devono pagare molte tasse e con mille triboli. Un esempio eclatante è la tassa sulle case non locate. La legge di Stabilità prevede che «il reddito degli immobili a uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l'immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all'imposta municipale propria, concorre alla formazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura del cinquanta per cento». Si tratta del ripristino di un'imposta che era stata abolita nel 2011 da Berlusconi.
La reintroduzione nasce anzitutto - com'è facile capire - dall'esigenza di «fare cassa» (frutterà infatti allo Stato, nel 2014, più di 500 milioni), con la consueta preferenza della nostra burocrazia e di certa classe politica a gravare sempre sugli immobili, nella noncuranza più assoluta dei gravi effetti già procurati a un settore di primaria importanza come l'edilizia e nell'intendimento di colpire (con facilità, perché sempre visibile) una ricchezza che peraltro non è più tale sia per l'abbattimento dei valori che si è avuto sia, soprattutto, perché si ha ricchezza solo quando una proprietà può essere realizzata sul mercato, cosa che proprio non si verifica oggi in Italia.
La reintroduzione dell'imposta è poi difesa con l'asimmetria esistente nel trattamento fiscale degli immobili non locati e degli immobili locati. Al solito l'asimmetria non è stata superata eliminando il carico fiscale Irpef degli immobili locati ma ripristinando invece un'imposta per chi prima non l'aveva. Da ultimo la reintroduzione è spiegata con la necessità della lotta all'evasione, presumendosi che gli immobili non locati siano in realtà locati irregolarmente. Ancora una volta, si preferisce - ovviamente - incassare di più, piuttosto che disporre facili ispezioni. Per queste «ragioni», si sceglie dunque di reintrodurre un'imposta di particolare iniquità. Gli immobili in questione sono generalmente quelli che i locatori (per la stragrande maggioranza piccoli proprietari) intendono concedere in locazione, senza peraltro trovare - soprattutto in questo periodo - inquilini disponibili.
In molti casi gli immobili non vengono poi locati perché bisognosi di ristrutturazioni, per effettuare le quali i proprietari non dispongono dei mezzi necessari, data la mancanza totale, o quasi, di redditività della locazione. Su tali immobili improduttivi di reddito i locatori sono comunque costretti, oltre che a pagare l'Imu (ad aliquota massima), a sostenere gli oneri propri di un bene come questo: contributi condominiali, spese di manutenzione, eccetera.

*Presidente di Confedilizia

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