Economia

Sofinter, vapore e «piastrelle» dai rifiuti

È il frutto degli impianti «verdi» di Itea, si parte da una spesa di 40 milioni

Massimo Restelli

Trasformare il più possibile i rifiuti solidi urbani (Rsu) da «problema» a «risorsa», anche sul fronte della produzione di energia elettrica e del riscaldamento. La tecnologia per compiere un passo avanti rispetto a molti degli inceneritori e termovalorizzatori (una cinquantina circa) oggi in funzione nel nostro Paese esiste, anche nell'ingegneria made in Italy. Una delle soluzioni a portata di mano è infatti il brevetto di Itea, società del gruppo Sofinter fondato da Giampietro Tedeschi, che si basa sulla cosiddetta «oxicombustion flameless». Tecnicismi a parte, si tratta di un nuovo modo di bruciare la pattumiera - sia quella domestica sia quella ospedaliera e industriale - con costi attesi inferiori rispetto a molte delle soluzioni oggi utilizzate e assicurando un ridotto impatto sull'ambiente.

Più in dettaglio - spiegano i tecnici - questi impianti sono progettati per assicurare emissioni pericolose, con contenuto di inquinanti, prossime allo zero. I gas che si liberano dai camini sono infatti costituiti essenzialmente da CO2, facilmente separabile e utilizzabile per usi diversi. Le ceneri escono, invece, sotto forma di scorie vetrificate e inerti, che possono trovare applicazione nell'edilizia urbana, per esempio nella pavimentazione di una piazza. Infine, viene prodotto vapore, che può essere sfruttato per il riscaldamento o per la produzione di energia elettrica.

Sebbene l'«economia circolare» dovrebbe essere un obiettivo strategico, soprattutto per un Paese povero di materie prime come il nostro, questa impostazione stenta però a prendere piede nei palazzi ministeriali e delle amministrazioni locali. Dove, soprattutto al Sud, si levano voci che vorrebbero piuttosto spegnere alcuni degli inceneritori esistenti, a favore delle più classiche discariche. Un appello che lascia perplessi, considerando anche l'emergenza rifiuti che continua ad attanagliare Roma, complice proprio l'insufficienza degli impianti preposti al loro trattamento e riutilizzo.

Secondo gli esperti, la direzione su cui vale la pena procedere, è appunto opposta: iniziare a progettare e costruire al più presto altri impianti per lo smaltimento dei rifiuti, di nuova concezione, con nuove tecnologie più pulite e (spesso) meno costose di quelle odierne.

Quanto al brevetto Sofinter, esiste attualmente un impianto pilota nel barese, a Gioia del Colle, e uno a Singapore. Si stima che una stazione standard, da 15 MWt, capace di trattare fino a 100mila tonnellate di rifiuti l'anno, richieda, per essere realizzata, un investimento prossimo ai 40 milioni. I tecnici assicurano comunque che dimensioni e potenza sono aumentabili, con costi via via decrescenti. I tempi di realizzazione, una volta ottenute le necessarie autorizzazioni, sono stimati inferiori ai due anni.

A bene vedere, quindi, sulla carta più rapidi di quelli in genere necessari per realizzare un inceneritore convenzionale.

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