Economia

Spread, la formula che penalizza l’Italia

Il 7 ottobre scorso il Btp usato come riferimento è cambiato influendo nella formulazione riguardanti le emissioni italiane fino al 2030

Spread, la formula che penalizza l’Italia

Da quanto l'aumento dello spread del nostro Paese spinse l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a dimettersi (2011), aprendo all'esecutivo tecnico di Mario Monti, questo termine economico è entrato nella testa degli italiani, diventando un "tormentone"che ciclicamente viene richiamato dai governi.

E così, ogni volta che lo spread aumenta o cambia iniziano i dibattiti politici senza, però, che effettivamente venga spiegato cosa stia effettivamente succedendo. Il caso Ilva degli scorsi giorni ha provocato, come prevedibile, un aumento dell'indicatore ma a spingere l'impennata, in realtà, è stato un fattore differente che penalizzerà solo l'Italia.

Il 7 ottobre scorso, difatti, è cambiato il BTP benchmark (cedola al 3% e scadenza al 1 agosto 2029) utilizzato come riferimento per calcolare lo spread da oggi 10 anni, sostituito da una cedola all'1,35% con scadenza al 1 agosto 2030. Nel giro di una settimana, il passaggio al nuovo benchmark, associato all'analisi del differenziale tra i Btp italiani e i Bund tedeschi, è saltato da 169 punti percentuali al 178%, penalizzando il nostro Paese rispetto ai mercati internazionali a favore della più stabile Germania.

In realtà la responsabilità non è da ricercarsi nella l'incertezza del sistema Italia, ma proprio nella formula i cui indicatori penalizzano il nostro Paese; difatti, l'analisi del differenziale viene fatto mettendo a confronto il BTP italiano di quasi 11 anni (da oggi ad agosto 2030) con i Bund tedesca a scadenza decennale, con un anno buono di rendimenti di differenza per calcolare interessi pagati dal Bund tedesco e gli interessi pagati da un analogo titolo di debito pubblico.

Sembrano tecnicismi, ma lo spread "costa caro"; difatti nella prossima legge di bilancio è stato messo in conto un aumento di 4,56 miliardi degli oneri sul debito per il 2019 e, per quanto riguarda gli anni successivi, il conto potrebbe rischia farsi più salato, con un possibile aumento delle spese per gli interessi dello spread che crescerebbe, nel 2021, di 12,5 miliardi rispetto ai livelli del 2018.

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