Economia

L'Opec non taglia la produzione di petrolio

Negli ultimi mesi il prezzo è crollato da 115 a 77 dollari al barile. Dietro ai prezzi e alle quantità prodotte calcoli economici (e non solo)

L'Opec non taglia la produzione di petrolio

"Non c’è il taglio" della produzione di petrolio da parte dell’Opec. L'ha annunciato il ministro del petrolio saudita, Ali al-Omair. Il limite ufficiale resta così fermo a 30 milioni di barili al giorno. Immediata la reazione sui mercati: i prezzi del petrolio crollano ancora: il Brent, secondo l’agenzia Bloomberg, scende del 4,4% a 74,36 dollari, mentre il Wti è in flessione del 3,8% a 70,87 dollari.

Il prezzo del greggio ha fatto registrare un vero e proprio crollo negli ultimi mesi, passando dai 115 dollari al barile di giugno agli attuali 75. Da un lato ci sono i produttori che premono affinché, tagliando la produzione i prezzi risalgano. Dall'altro, invece, c'è l'Arabia saudita che non vuole saperne. Il segnale più forte, facendo metaforicamente sentire il rumore dei pugni sul tavolo, lo aveva dato il ministro del Petrolio saudita Ali Al Naimi: "Il mercato del petrolio finirà per stabilizzarsi". Apparentemente una frase innocua e priva di grande interesse, ma che a molti osservatori è parsa un monito: l'Arabia saudita non cede. E infatti così è stato.

Ma perché i auditi sono disposti a rimetterci soldi pur di non far risalire i prezzi (e quindi i profitti)? Avevamo azzaredato un'ipotesi geopolitica: l'intenzione dell'Arabia Saudita (condivisa dagli Stati Uniti) di colpire economicamente l'Iran e la Russia. La tesi parte da una semplice constatazione: dal petrolio deriva il 60% delle entrate di Teheran e il 46% di quelle di Mosca. Si capisce subito, quindi, quando sia strategico il prezzo del greggio per questi due Paesi.

La guerra dei prezzi potrebbe avere un'altra ragione: tenere fuori dal mercato se non tutti almeno una grossa parte dei produttori americani di shale oil, petrolio che si ricava con le nuove tecniche di trivellazione frantumando le rocce. Secondo una stima dell'Iea (International Energy Agency) grazie allo shale oil e al petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada, il Nord America arriverà a produrre quasi 4 milioni di barili al giorno, poco meno di quanto greggio viene estratto dall'Iran. Gli Emirati arabi (alleati dei sauditi), puntano il dito apertamente contro l'America: "La responsabilità dell’eccesso di offerta è degli Usa – ha detto il ministro dell'Energia Suahil Mohamed Al Mazrouei –. I produttori americani di shale oil devono lavorare con gli altri, perché la sovraproduzione (di greggio, ndr) nuocerà anche a loro, come a tutti nel mercato".

C'è un livello al di sotto del quale lo shale oil non è più competitivo: 80 dollari al barile. Al di sotto di questo prezzo la produzione diventa molto meno competitiva e un terzo della produzione non sarebbe più conveniente, con molti (produttori) che rischierebbero la bancarotta, avendo richiesto fiori di finanziamenti per ricerche e investimenti.

La "guerra del petrolio" come si può facilmente intuire è molto complessa e ricca di variabili. Resta da capire come si muoveranno i principali attori sulla scena, mossi da interessi economici ma anche geopolitici. L'Arabia Saudita vuol mandare giù i prezzi per tenere a bada i "pericolosi concorrenti", frenare gli investimenti nel settore e poi, una volta sistemate le cose, far ripartire le quotazioni. Un vero e proprio elastico da usare con perizia scientifica.

Ma non tutti possono permettersi questo giochino.

Commenti