Economia

Il Tesoro non scenderà dal Monte

A fine anno scade il lock up, ma lo Stato ci sta perdendo 100 milioni e per il suo 4% manca un compratore

Il Tesoro non scenderà dal Monte

«A differenza delle banche europee, quelle italiane non hanno beneficiato di aiuti di Stato», ha sottolineato il 6 dicembre in un'intervista al Corriere della Sera, Fabrizio Viola, amministratore delegato di Mps. Che dal primo luglio scorso ha lo Stato nel capitale con una quota del 4,02% ricevuta a saldo dei Monti bond. Il 31 dicembre, scadrà il lock up (il «lucchetto») sulle azioni e il Tesoro - diventato socio per necessità e non per scelta - potrebbe dunque venderle. Ma a quanto risulta dai rumors non lo farà, in attesa di tempi migliori. Ovvero di qualcuno che gliele compri a un prezzo ragionevole: solo negli ultimi sei mesi le azioni Mps hanno lasciato sul terreno quasi il 33% e anche ieri la seduta è stata chiusa in calo dello 0,83% a 1,20 euro. L'ingresso nel Monte era frutto della conversione in titoli dei 240 milioni d'interesse maturato per il 2014 sui Monti bond emessi da Siena nel 2013 (e sottoscritti dal ministero dell'Economia). Parliamo di circa 118 milioni di azioni costate, dunque, al tempo attorno ai 2 euro ciascuna. Lo Stato, a oggi, sta quindi perdendo circa 100 milioni. Mentre il governo spera che le Mps riprendano quota in Borsa, la banca senese deve rifare i conti con l'operazione Alexandria, messa in piedi dalla passata gestione targata Giuseppe Mussari con l'aiuto di Nomura per finanziare l'acquisto di Antonveneta. Operazione che va contabilizzata nei bilanci del Monte come un derivato. Così ha chiesto la Consob, su assist della Procura di Milano, benché l'istituto abbia chiuso il contratto a fine settembre sborsando ai giapponesi 359 milioni di euro. I vertici di Mps escludono impatti patrimoniali ma per il gruppo si prospetta un effetto fiscale negativo sul bilancio del 2015 per altri 130 milioni, dopo un impatto differenziale positivo per 714 milioni. Lo scorso 11 dicembre la Commissione guidata da Giuseppe Vegas, chiudendo l'istruttoria che aveva avviato tempo fa, è arrivata alla conclusione, grazie alle evidenze emerse dall'inchiesta in corso presso il tribunale di Milano, che l'operazione con Nomura va considerata ai fini contabili come un derivato e non più come un «long term repo» su titoli di Stato. In particolare, la procura avrebbe accertato, (grazie a «persone che possono riferire circostanze utili alle indagini»), che «i titoli non sono stati mai acquistati da Nomura», che li aveva sostituiti acquistando altri Btp. Insomma, quelle singole operazioni erano fittizie, esistevano solo sulla carta. Una «circostanza che era nota», si legge ancora, ai manager della banca senese che effettuarono l'operazione (Giuseppe Mussari, l'ex direttore generale Antonio Vigni e l'ex capo della Finanza, Gianluca Baldassarri). Anzi, loro avevano «condiviso preordinatamente» le modalità di esecuzione dell'operazione. I nuovi elementi trasmessi dalla procura portano quindi Consob a dire che «non sussistono le condizioni per procedere ad una contabilizzazione «a saldi aperti» dell'operazione su Alexandria. L'istituto di Rocca Salimbeni, passata nel frattempo sotto la gestione Profumo-Viola, ha continuato a indicare l'operazione a saldi aperti aggiungendone una rappresentazione come derivato sintetico nella nota integrativa al bilancio.

Ora, con Massimo Tononi alla presidenza, procederà a rivedere il bilancio 2014 e del primo semestre del 2015.

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