Economia

Ultima chiamata per la banca di Genova

Solo il «sì» all'operazione da 900 milioni può salvare Carige. Decisivo Malacalza

Ultima chiamata per la banca di Genova

Comunque andrà a finire oggi l'assemblea di Carige, Genova non avrà più la sua banca così come l'ha conosciuta. La città della Lanterna si deve preparare a una rivoluzione, simile a quella che stanno ancora metabolizzando i senesi reduci dal Monte dei Paschi di Stato.

I piccoli soci arriveranno in massa al Tower Hotel di Sestri Ponente: quasi 20mila azionisti (pari a circa l'80% del capitale) hanno chiesto di poter partecipare, direttamente o per delega. L'ago della bilancia resta però Vittorio Malacalza che martedì scorso ha compiuto 82 anni ed è diventato con la holding di famiglia il primo azionista della banca che nel 1961 gli concesse il primo prestito - 20 milioni di lire - quando faceva il commerciante nel settore dell'edilizia e aveva solo tre dipendenti. La Malacalza Investimenti ha depositato la sua quota del 27,6% ma oggi la famiglia ha quattro opzioni: decidere di non presentarsi; partecipare e restare fino al momento del voto, astenendosi; partecipare e uscire prima della votazione (sottraendo così la sua quota al quorum costitutivo e deliberativo ma a quel punto sarebbe sufficiente che in sala restasse almeno il 20% del capitale della banca), oppure partecipare e votare contro la manovra di salvataggio proposta dai commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener.

Se Malacalza si esprimerà con un'astensione o un parere contrario il resto dei soci non basterà ad approvare il piano di rafforzamento da 900 milioni, di cui 700 per l'aumento di capitale e 200 per il prestito subordinato. L'approvazione del riassetto, che coinvolge il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi insieme con Cassa Centrale Banca, ha bisogno del voto favorevole di almeno due terzi dei presenti. E l'astensione conta come il voto contrario.

Malacalza, che su Carige ha scommesso 420 milioni, fino a ieri è rimasto una sfinge. Difficile fare pronostici ma ieri a Genova in molti erano convinti che alla fine il patron Vittorio non se la sentirà di accollarsi la responsabilità di far finire la banca in liquidazione e farà passare il piano togliendosi magari la soddisfazione di fare un intervento pepato senza però poter proporre cambiamenti al piano che non è modificabile.

Oggi cade esattamente un anno dall'insediamento di Modiano e Innocenzi come presidente e ad (prima di diventare commissari) determinato dalla vittoria di Malacalza in assemblea contro gli altri due soci di peso, Gabriele Volpi e Raffaele Mincione che ora però si sono schierati a favore del piano. Ma a presiedere l'appuntamento di oggi dovrebbe essere il terzo commissario, Lener, indicato a gennaio da Bankitalia. Le diplomazie, insomma, hanno lavorato fino all'ultimo per portare a casa l'ok al salvataggio. Se la ricapitalizzazione non verrà approvata, sono diversi gli scenari ipotizzabili. Si va da una ripetizione dell'assemblea con una sterilizzazione della quota di Malacalza (difficile però che Francoforte adotti una misura così radicale aprendo a una serie di contenziosi con il primo azionista), a una risoluzione (dimostrando però che l'istituto ligure ha rilevanza sistemica), passando per la liquidazione coatta amministrativa (8 miliardi il costo per il Fitd per la protezione dei depositi sotto i 100mila euro) o la ricapitalizzazione precauzionale su modello Mps, con il decreto di gennaio che ha stanziato fino a un miliardo.

In ogni caso, oggi per Genova e per i soci di Carige è l'ultima chiamata. Prendere o lasciare.

Anche per Vittorio Malacalza, che ha sempre preferito ai salotti le uscite sulla sua barca a vela Maidomo, nel senso di mai domato.

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