Economia

Venete, i banchieri rischiano 10 anni

È la pena per la bancarotta, reato che ora diventa perseguibile. Avvocati in allerta

Venete, i banchieri rischiano 10 anni

Cosa rischiano i «bankster» - metà banchieri e metà gangster - dopo l'avvio, domenica scorsa, della procedura coatta amministrativa adottata con il decreto legge 99 per evitare un bail-in che avrebbe travolto l'intero sistema bancario?

A una prima indagine, molto: contattati nelle università milanesi, molti dei luminari specializzati in diritto penale societario sono risultati indisponili a un commento. Infatti, secondo i rispettivi uffici stampa, sarebbero coinvolti nella gestione delle possibili conseguenze del buco lasciato tra Montebelluna e Vicenza da quei dogi che, in vent'anni, hanno portato i due istituti di credito al crac. I critici puntano il dito sui prestiti facili rilasciati a vip e amici e poi trasformati in una valanga di sofferenze, alle tecniche commerciali border line adottate per la vendita di titoli e alla valutazione delle azioni non quotate lievitata, nel tempo, senza più alcun legame con la realtà.

Per la maggioranza degli esperti l'orizzonte che si potrebbe profilare per i responsabili del collasso di Banca Popolare Vicenza e di Veneto Banca è quello della bancarotta fraudolenta, oltre a un nugolo di reati «minori», false comunicazioni sociali, falso in bilancio, aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza. E in effetti, per molti di questi ultimi profili, le indagini sono già in corso. «Con l'innesto della liquidazione coatta amministrativa e l'assenza di piene situazioni riparatorie per obbligazionisti e azionisti, si profila l'ipotesi di bancarotta» sostiene Dario Trevisan, avvocato specializzato in diritto fallimentare dello Studio Trevisan & Associati.

In pratica il curatore della procedura, Fabrizio Viola è tenuto a inviare relazioni dettagliate alle due Procure competenti, Vicenza e Treviso, segnalando le eventuali responsabilità penali che dovessero emergere. In quest'ultimo caso dovrà poi essere dimostrata la sussistenza delle responsabilità personali di quei manager che abbiano «distratto, occultato, dissimulato o dissipato» i beni; o «sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte i libri o le altre scritture contabili» o commesso reati societari. «Se dovesse essere dimostrata la bancarotta fraudolenta, i banchieri coinvolti potrebbero subire una condanna alla reclusione da tre a dieci anni, salvo aggravanti che farebbero aumentare la pena» sostiene l'avvocato Andrea Missaglia, che poi precisa: «Per Parmalat, tra i maggiori crac passati dalle aule giudiziarie, si è arrivati a 17 anni e cinque mesi» Non solo. Una condanna comporterebbe per dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità, ad esercitare uffici direttivi presso un qualsiasi impresa.

C'è tuttavia chi solleva dubbi sulla sussistenza dello stato di insolvenza, presupposto per la realizzazione dei reati fallimentari. Si è perfino parlato di «immunità» di fatto, contenuta nel decreto. La cessione dei 17 miliardi di sofferenze alla bad bank avrebbe, secondo questa ipotesi, scongiurato la dichiarazione di insolvenza delle due banche.

Tutto è possibile ma, come nota l'avvocato Emanuele Rimini, docente di diritto bancario presso l'Università degli Studi di Milano, «la liquidazione coatta amministrativa di cui parla il decreto, presuppone l'insolvenza ed è equiparata al fallimento».

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