Politica

Elogio dell’annuncio

L’unica manifestazione di immigrati è stata contro il comune di Napoli tre-quattro giorni fa. Nel giro di poche settimane i fannulloni che si dichiaravano malati sono diminuiti dell’11%. L’Alitalia è, per così dire, ancora sospesa ma gli aerei volano senza uno sciopero. A Chiaiano la piazza langue. Che diavolo succede? Vuoi vedere che siamo diventando un paese normale? I teorici, anche un po’ criminologi, della politica virtuale ci hanno spiegato che in politica «verba volant» e la pubblica opinione è troppo disincantata per dare credito ai governi. Il mio amico Vincenzo Visco aveva una sua persuasione sul rapporto fra governo e opinione pubblica e provava regolarmente a fare la faccia feroce per indurre i renitenti a pagare le tasse, pressoché inutilmente.
Al governo Berlusconi sta andando, invece, tutto bene. Brunetta domina il mondo dei boatos. Con due o tre annunci clamorosi, l’attivissimo ministro ha indotto i renitenti a pensare che lavorare stanca ma è sempre meglio che venire licenziati. Le piazze di Napoli e della Campania, che si erano riempite di gente che voleva liberarsi della monnezza ma non accettava né discariche né inceneritori, si sono svuotate appena c’è stato l’annuncio dell’arrivo dell’esercito e la minaccia di pene severe. La politica anti-immigrazione che tanti malumori ha suscitato, anche in me, si è risolta senza proteste verso norme più severe e dissuasive. Persino il censimento dei nomadi, con le impronte digitali ai bambini, si è tradotto nella proposta delle senatrici del Pd di estendere identificazione e carta di identità a tutti i bambini di questo paese. Un trionfo per Maroni. Invece di assistere a sfracelli, ci accorgiamo che qualcosa funziona.
La verità è che talvolta «verba manent». Ma talvolta, quando? Le tecniche della comunicazione si rivelano produttive quando incontrano una predisposizione favorevole della pubblica opinione. L’effetto d’annuncio storicamente serve a dissuadere, a lanciare una minaccia credibile, a promettere la soluzione di problemi atavici. Assai di rado funzionano quando è la politica che adopera l’annuncio come forma di governo. A meno che non si verifichino alcune condizioni. La prima è che la politica sembri credibile. Annuncio, quindi farò. Come scrivevo prima da «verba volant» a «verba manent». Ma questo passaggio non basta da solo se non si realizzano altre due condizioni, più una quarta che dirò alla fine.
La seconda condizione è che chi promette appaia autorevole e credibile. L’ha detto... E questi puntini di sospensione sono riempiti da un nome, da una sigla, da un mezzo di comunicazione. In questo caso abbiamo ministri e premier che appaiono credibili. La terza condizione è che la pubblica opinione abbia voglia di essere governata. È il caso italiano, almeno sulla base di quello che vediamo ora. L’Italia ha da decenni voglia di essere governata. Una vittoria elettorale senza discussione, una maggioranza salda e un premier ottimista facilitano l’incontro fra l’annuncio e la voglia di credere in esso.
Infine, la quarta circostanza è l’assenza di alternative. Le condizioni in cui si svolge l’azione dell’opposizione, balbettante quella democratica, demagogica quella dipietrista, rendono più credibile l’effetto d’annuncio in quanto unica proposta possibile.
Abbiamo citato fatti oggettivi che prescindono dall’appartenenza politica di chi deve esaminarli e compiacersene o rammaricarsene. Sta di fatto che i governi di centrosinistra hanno fatto uso a mani basse di effetti d’annuncio senza trovare riscontri nella pubblica opinione. Il governo Berlusconi, dalla monnezza all’Alitalia, ai fannulloni viene preso sul serio.
Qui c’è un cambiamento della pubblica opinione che vale come cambiamento di sistema, ossia può diventare una virtù che domani potrà essere ereditata da chiunque governi. Da «chiunque» governi, ma non da «comunque» governi. Quella che emerge è una generale domanda di decisione, di stabilità, di fermezza, di solidità della politica. Chi ha votato per il governo è contento, chi ha votato contro non sente crescere in sé la ribellione. Questo si chiama politica della credibilità.

E l’esperimento che stiamo osservando fa certamente bene al governo Berlusconi, ma fa bene anche all’opposizione se trova parole chiare, messaggi precisi e linguaggi non élitari e chiusi nelle vecchie liturgie. È il caso di dire che l’ambasciator non porta pena, ma se la porta, la gente ci crede e si adegua.
Peppino Caldarola

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