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Aleppo madre di tutte le battaglie ma la Siria è già la Caporetto Usa

La fine di Bashar Assad sarà anche, come ripetono Washington ed Ankara, assai vicina, ma la soluzione del problema siriano no di certo. Anzi la matassa s'aggroviglia sempre di più evidenziando la faciloneria con con cui Turchia e Stati Uniti han affrontato la spinosa questione. Da quella matassa, o meglio da quella cornucopia della malasorte, emergono sempre nuove incognite. Mentre la Casa Bianca scopre di non aver un solo agente della Cia sul terreno e di non aver la minima idea di quanti dei 300 gruppuscoli anti Assad siano stati infiltrati da Al Qaida la Turchia s'accorge che nelle zone di confine «liberate» sventola la bandiera del Pyd, curdi siriani alleati del Pkk di Ocalan. Una scoperta non proprio tranquillizzante per l'aspirante grande potenza chiamata a coordinare attraverso il centro segreto di Adana, una città ad un centinaio di chilometri dal confine siriano, gli aiuti ai ribelli messi a disposizione da Arabia Saudita e Qatar. La scoperta turca fa il paio con le ammissioni di Mike Rogers, capo della Commissione intelligence della Camera che avverte: «Siamo stati lenti e disorganizzati, la nostra intelligence non è stata in grado di raccogliere informazioni». Ed allora fermi tutti. Mentre al confine giordano l'esercito siriano spara su quello di Amman e ad Aleppo i ribelli annunciano la «madre di tutte le battaglie», Washington ed Ankara riflettono sulle proprie leggerezze. Grazie all'alleanza tra cellule irachene e siriane Al Qaida promette di trasformare la Siria in un crocevia strategico da cui colpire il Libano, la Giordania e Israele.
Se Washington piange Ankara non ride. La nazione che nel 1998 minacciò di far guerra al padre di Bashar per convincerlo a sloggiare Ocalan scopre, 14 anni dopo, di aver regalato un santuario ai propri nemici. In questo labirinto politico strategico la battaglia d'Aleppo appare più un incubo che una speranza. Se il polmone commerciale della Siria cadesse accelerando la fine del regime né Washington né Ankara saprebbero gestire il caos. Così malgrado Erdogan profetizzi la caduta di Assad e Obama esprima preoccupazione per i possibili «massacri» di Aleppo, Usa e Turchia sperano in un po' di tempo supplementare per affinare i piani. Ad Aleppo gli inconfessabili desideri potrebbero anche realizzarsi. Mentre artiglieria ed elicotteri martellano i sobborghi occidentali e orientali controllati dai ribelli l'esercito si prepara a chiudere la strada per la Turchia e ad imbottigliare in una sacca fatale gli insorti. La situazione al confine giordano non sembra, nonostante lo scontro di frontiera, molto critica. La scaramuccia di ieri notte con l'esercito di Amman innescata dal tentativo siriano di occupare una torretta di sorveglianza giordana s'è conclusa, con il ferimento di due soldati di Amman, ma non sembra destinata a produrre conseguenze serie.
Assai più preoccupanti sono invece le mosse di Obama che iniziò il mandato con una lettera a Bashar Assad in cui auspicava il superamento delle passate incomprensioni: ha appena firmato un documento segreto con cui autorizza nuovi aiuti clandestini ai ribelli. Dietro al documento si nascondono forse i piani per un golpe militare da affidare a Manaf Tlas, il generale della Guardia Repubblicana che ad inizio luglio ha detto addio all'amico Bashar ed è filato in Arabia Saudita con l'appoggio dei servizi segreti francesi. Figlio di un ministro della difesa Tlas è considerato da Washington l'uomo giusto per guidare la rivolta dei generali di fede sunnita rimasti al fianco di Assad e per contrapporsi all'eventuale ascesa delle formazioni alqaidiste.

L'unico problema, ignorato sia da Obama sia da turchi e sauditi, sono le dichiarazioni dei gruppi ribelli che già annunciano di non avere alcuna intenzione di prendere ordini da un ex gerarca di regime.

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