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Arriva il «consigliere» che addestra i soldati a trattare con le donne

Le nostre donne in uniforme, che montavano la guardia all'inizio della missione a Kabul, si coprivano il viso con la maschera anti sabbia. Altrimenti, se riconosciute, venivano bersagliate dai lanci di sassi dei ragazzini afghani. Le prime donne delle unità Cimic, che giravano nei villaggi per portare aiuti o fra la popolazione carceraria femminile di Herat hanno dovuto superare molti ostacoli, ma sono state apprezzate.
Da ieri, al Centro alti studi della Difesa di Roma, è iniziato il primo corso italiano per «gender advisor», consigliere per le pari opportunità. A prima vista può sembrare la classica trovata italiana politicamente corretta. In realtà la figura del «consigliere di genere» è praticamente imposta da una direttiva della Nato che rispecchia la risoluzione 1325 dell'Onu su «donne, pace e sicurezza». Una nuova figura che non servirà ad affiancare solo i comandanti dei contingenti impiegati all'estero fin sul campo di battaglia. «Lo scopo del corso è di formare dei gender advisor nelle forze armate per diffondere la conoscenza della prospettiva di genere fra il personale sia militare che civile della Difesa» dichiara a il Giornale il direttore del corso, colonnello Luigi Viel. Per i teatri operativi all'estero lo Stato maggiore spiega che il consigliere di genere «dovrà operare in modo che in tutte le fasi della missione sia considerata e coinvolta, al massimo livello possibile, pure la componente femminile della popolazione locale». In pratica vanno coinvolte le donne delle comunità locali «come necessario strumento di stabilizzazione e ricostruzione». Gianandrea Gaiani, direttore della rivista on line Analisi Difesa, è critico: «Sarebbe meglio se la Nato si occupasse di più di vincere le guerre, come quella in Afghanistan, piuttosto che del politicamente corretto. È vero che le donne soldato sono utili per i rapporti con la popolazione femminile del luogo, ma la propaganda talebana, che funziona, deride le nostre truppe accusando gli occidentali di farsi difendere dal gentil sesso».
Al corso di Roma partecipano 55 fra ufficiali, funzionari e dirigenti civili della Difesa. Non è detto che il consigliere di genere sia necessariamente del gentil sesso. Fra i 55 partecipanti, 44 sono uomini e 11 donne. Da ieri al 20 giugno docenti universitari, esperti di studi di genere e antropologia si alterneranno con professionisti della cooperazione civile ed esperti militari. La prima parte, teorica, si legge nel comunicato della Difesa, «riguarderà le pari opportunità, l'immagine e la diffusione di pregiudizi e stereotipi, le devianze comportamentali quali molestie, mobbing, stalking». Il capitano Rosa Vinciguerra, che coordina il corso, spiega al Giornale: «La figura del consulente del comandante servirà anche in patria a prevenire piuttosto che curare».
La parte pratica del corso prevede esercitazioni con le unità Cimic, di cooperazione civile e militare, Psyops, per le operazioni di guerra psicologica e con i carabinieri esperti di missioni all'estero. Le direttive Nato, forse troppo influenzate dall'Onu e dall'approccio dei paesi del nord Europa, puntano ad aumentare il numero di comandanti donne nelle missioni di pace che nel 2011 erano 6 su 33.
Non solo: dalla Bosnia al Ruanda ai conflitti odierni, soprattutto in Africa, «lo stupro è stato usato come arma di guerra» spiega Vinciguerra. «Il corso preparerà i consulenti di genere ad affrontare queste situazioni - sottolinea il capitano - Una minaccia che le nostre truppe devono sapere intercettare e fermare».
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