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Assalto pacifico della folla al palazzo del presidente Morsi cede sul referendum

Slitta il referendum sulla contestata riforma costituzionale Obama telefona al Cairo e chiede a tutti "moderazione"

Assalto pacifico della folla al palazzo del presidente Morsi cede sul referendum

Un presidente manovrato dell'ala più estremista dei Fratelli Musulmani. Un esercito diviso tra i generali passati al nuovo potere e quelli decisi ad assistere alla sua delegittimazione. Una Casa Bianca sempre più spaesata, incapace di esercitare la propria influenza nonostante il miliardo e mezzo di dollari annui garantiti al Cairo. Prigioniero di questo scenario da brivido, l'Egitto scivola lentamente verso il baratro. Ieri sera decine di migliaia di dimostranti laici, liberali e copti riuniti sotto le bandiere del Fronte di Salvezza Nazionale hanno travolto le barriere di filo spinato intorno al palazzo presidenziale di Heliopolis chiedendo le immediate dimissioni del presidente Mohammed Morsi.

Da parte sua il presidente sembra cercar spazio per una trattativa ventilando il rinvio di quel referendum del 15 dicembre con cui sperava di far ratificare la Costituzione. Ma in assenza di un comunicato ufficiale l'opposizione continua a rifiutare il dialogo. Il pericolo di nuovi scontri e di un'involuzione dalle conseguenze imprevedibili resta insomma dietro l'angolo. Per capirlo basta ascoltare gli slogan sempre più infiammati che accompagnano le manifestazioni di sostegno al regime. «Pane libertà e Sharia, l'Egitto è islamico e non sarà ne secolare né liberale» gridavano ieri migliaia di barbuti davanti alla moschea di Al Azhar durante i funerali di due compagni uccisi nei giorni scorsi.

L'estremismo degli slogan fa il paio con l'irriducibile durezza del discorso con cui Morsi ha ribadito, giovedì, la volontà di approvare la nuova Carta ispirata alla sharia. In quel discorso privo di spazi per il compromesso molti intravvedono l'influenza dell'ala dura della Fratellanza Islamica legata alla Suprema Guida Mohammed Badei. La corrente, guidata dai duri e puri del movimento, avrebbe di fatto estromesso l'ala riformista del gruppo stringendo un'alleanza con i salafiti. La Costituzione ispirata alla sharia sarebbe il simbolo irrinunciabile di quell'intesa. In questo scenario da incubo la posizione più paradossale appare quella di Barack Obama. «Il presidente – spiega un comunicato della Casa Bianca - sottolinea la necessità che tutti i leader politici egiziani mettano da parte le loro differenze e concordino un cammino capace di far avanzare l'Egitto». Obama insomma non fa distinzioni. Per lui il presidente e i capi dell'opposizione scesi in piazza per denunciare l'involuzione totalitaria del regime islamista sono sullo stesso piano. La bizzarra equidistanza dal potere fondamentalista e dall'opposizione liberale è la conseguenza dell'errore commesso affidando a Morsi la gestione della recente tregua di Gaza, che Obama teme di veder dissolversi qualora Morsi fosse costretto alle dimissioni.

In questo caotico scenario la posizione dell'esercito egiziano, tradizionale garante del potere laico, appare è ancora più complessa ed inusuale. Buona parte dei vertici delle Forze Armate sono apertamente allineati con Morsi e i Fratelli Musulmani sin dallo scorso agosto quando appoggiarono il colpo di mano conclusosi con l'uscita di scena del feldmaresciallo Tantawi e della giunta militare responsabile della deposizione di Mubarak. Non a caso la nuova Costituzione garantisce il mantenimento di tutte le prerogative dell'esercito.

Prima fra tutte quell'assoluta autonomia finanziaria che proibisce a qualsiasi altra istituzione di mettere il naso nei suoi bilanci.

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