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"Chavez ha impoverito il Venezuela e ai poveri ha dato solo le briciole"

Il professor Michele Castelli vive a Caracas dal 1970. Ci parla della figura controversa del "comandante", dei risultati non proprio esaltanti e dei metodi usati per restare al potere

"Chavez ha impoverito il Venezuela e ai poveri ha dato solo le briciole"

Il Venezuela piange ancora la scomparsa del proprio presidente, Hugo Chavez, il cui corpo sarà imbalsamato come quello di Lenin. Dopo aver fallito un colpo di Stato nel 1992, arrivò al potere democraticamente sette anni dopo ed è rimasto in carica come presidente fino alla morte, salvo una breve parentesi di pochi giorni nel 2002 (per un tentativo di golpe). Figura controversa, era molto amato da ampi strati della popolazione, specie quella più povera. Ma è difficile non riconoscere, nel suo operato, i tratti di un populismo autoritario, con una profonda compressione della libertà dei cittadini. Abbiamo parlato di Chavez con un italiano che dal 1970 vive e lavora in Venezuela, Michele Castelli. Sessantasette anni, professore emerito dell’Università Centrale di Caracas in linguistica e dialettologia, è nato in Italia, a Santa Croce di Magliano (Campobasso).

Che clima si vive in questo momento?
Dopo tre mesi di malattia irreversibile il popolo venezuelano non si faceva più illusioni di un possibile ritorno di Chavez alla presidenza. I suoi delfini al governo hanno saputo amministrare con buon olfatto politico la contingenza sfruttando al massimo il normale stato emotivo della povera gente, quella più vicina al comandante, che da sempre ha creduto alle sue accese prediche rivoluzionarie. Migliaia di persone hanno accompagnato il feretro nella lunga camminata dall’Ospedale fino all’Accademia militare, un piazzale immenso dove si terranno i funerali. Ho notato sincere manifestazioni di dolore e di affetto verso il leader che indiscutibilmente farà storia nel paese e in tutta l’America Latina.

Come valuta, complessivamente, l'esperienza di governo di Chavez?
Non si può negare che la povertà critica è scesa in Venezuela grazie alle cosiddette "missioni" attraverso le quali briciole della ricchezza petrolifera sono cadute sui ranchos che punteggiano le falde delle montagne che circondano Caracas ed altre grandi città del paese.

Perché parla di briciole?
Perché la maggior parte del miliardo di dollari entrati al paese nei 14 anni anni di governo chavista, che non si riflettono in opere concrete, probabilmente saranno andati ad ingrossare i conti all’estero della nomenklatura, o sono stati donati a paesi come Cuba, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, Argentina, Uruguay, ecc. per propagandare il “socialismo del secolo XXI”. La mania di volere emulare il grande Simon Bolivar ha spinto Chávez a guardare più verso fuori che a risolvere i problemi economici e sociali del paese, circondandosi all’interno di seguaci acritici anziché di amministratori capaci e preparati.

Ha deluso quelli che avevano creduto in lui?
Anche quanti nel passato hanno combattuto i soprusi e la corruzione dei governi della cosiddetta "Quarta Repubblica" sono stati preda del "venditore di illusioni". Specialmente all’inizio, quando non era ancora chiaro il concetto di “socialismo” che predicava, e tutti pensavamo che volesse seguire i passi della Bachelet in Cile o di Lula in Brasile. Quando invece vende l’anima a Fidel e comincia a perseguitare la dissidenza, a incarcerare innocenti che gli facevano ombra, a sequestare i poteri dello Stato, a distruggere le imprese produttive, allora abbiamo capito che la parvenza “democratica” gli serviva solo come un pretesto verso il mondo per giustificare la propria legittimità. Grazie alle ingenti ricchezze provenienti dal petrolio si sostituisce la produzione locale con importazioni di beni e servizi e si sussidiano le persone ai margini della società con una fitta rete di distribuzione alimentare. Ciò significa che il governo smorza la fame della povera gente, ma non risolve i loro problemi sociali. Soprattutto perché non crea posti di lavoro stabile e incentiva l’economia informale.


Qualcuno in Italia (Bertinotti ma non solo) ha salutato con profondo dispiacere la scomparsa dell'amico Chávez, esempio per il socialismo del XXI secolo. Al di là delle ideologie, quali risultati crede abbia effettivamente raggiuto Chavez per il Venezuela? E quali colpe gli imputa?
Chi ha conosciuto Chavez non può che avere un ricordo assolutamente positivo. Simpatico, convincente, umile, riusciva subito ad ammaliare qualsiasi interlocutore. Duro solo con gli avversari politici. Non ha mai risparmiato loro epiteti dispettivi e spesso anche volgari. Capisco dunque il sincero dolore di Bertinotti per l’amico che effettivamente ha conosciuto in uno dei suoi ultimi viaggi in Venezuela. Non credo, tuttavia, che avrebbe apprezzato del tutto i risultati come governante se avesse analizzato in profondità la situazione attuale del paese.

Perché?
È vero, come ho già detto, che si è preoccupato di quello strato povero della popolazione che storicamente è rimasto abbandonato nel proprio ghetto, e ciò non è poca cosa. Ma è altrettanto vero che durante i 14 anni di governo non sono state costruite grandi opere d’infrastruttura per l’industrializzazione del paese e nemmeno si sono mantenute adeguatamente quelle esistenti. Per esempio, nonostante il privilegio di essere produttori di petrolio e di avere fiumi di grossa portata, il sistema elettrico nazionale è un disastro. L’industria agroalimentare, che è diventata un monopolio dello Stato, produce appena un 40% delle necessità della popolazione, mentre il resto s’importa. In Venezuela da diversi anni abbiamo l’inflazione più alta del mondo (una media di 25% all’anno) e durante i governi di Chávez il bolívar, la moneta locale, è stata svalutata ben sei volte. I giovani talenti emigrano verso gli Stati Uniti e l’Europa per mancanza di opportunità e per la crescente insicurezza. Aumenta invece volutamente la burocrazia, come un “capitale” politico che il governo gestisce alla perfezione. A che serve allora l’amore verso i poveri se saranno destinati a rimanere sempre tali, attaccati al filo della speranza del sussidio governativo? Certo, l’80% della popolazione (sono statistiche ufficiali) non si addormenta con lo stomaco vuoto, ma che futuro potrà sperare se non si creano posti di lavoro dignitosi? Insomma, considerando che il petrolio è l’unica risorsa sulla quale conta il paese e che Chavez ha avuto la sorte di poterlo vendere a prezzi astronomici, io lo giudico responsabile di non aver saputo creare le basi di un’economia diversificata forte e prospera, e di avere perso una grande opportunità storica per incamminare il Venezuela verso uno sviluppo sostenibile alla pari dei paesi del primo mondo.

Il vice presidente Maduro ha parlato di un complotto contro Chavez, che avrebbe causato la morte del presidente. E' questa l'opinione più diffusa in Venezuela?
Maduro ha ripetuto tante menzogne durante i tre mesi di assenza del presidente, tanto che nemmeno i più stretti collaboratori gli ripetono simili bazzecole. Sono stati espulsi due diplomatici americani ma il Ministero degli Esteri non ha emesso nessun comunicato ufficiale con accuse precise. Del resto, è la prima volta che si sente dire che il cancro è una malattia infettiva o che si può inoculare.

Esiste una stampa libera in Venezuela?
Direi di sí, anche se si fa molto per metterla a tacere. Il governo ha creato una poderosa rete di comunicazione che arriva gratuita negli angoli più reconditi di un paese immenso con una superficie di quasi un milione di chilometri quadrati e una popolazione vicina ai 30 milioni di abitanti. Si tollera la stampa indipendente che, però, non ha vita facile. Non usufruisce delle risorse dello Stato (contributi, pubblicità, ecc.) e persino i privati spesso s’inibiscono di appoggiare per timore di rappresaglie.

Qualcuno dice che Chavez non era un dittatore perché è stato, più di una volta, eletto dal popolo? Secondo lei si può parlare di vera democrazia?
Neanche io sono sicuro che Chavez fosse un “dittatore” nel significato classico della parola. Lo definirei piuttosto un “caudillo” con ascendenza assoluta sui suoi collaboratori. È noto a tutti che in Venezuela nessun ministro muoveva un dito senza la sua benedizione. Era sempre lui a dire l’ultima parola, a fare i grandi annunci. Trascorreva ore intere in radio e tv circondato dai suoi più stretti collaboratori ma anche dalla povera gente. Sapeva interpretare le loro necessità e, come un buon frate predicatore, infondeva speranze in un domani migliore. Quando le promesse non si compivano, il che succedeva spesso, le colpe ricadevano sempre sui “funzionari inetti” o sulla “borghesia fascista” che boicottava le iniziative del governo. Lui usciva sempre indenne dalle responsabilità. Con la stessa abilità era riuscito a creare un clientelismo politico che gli garantiva la rieleggibilità eterna.

Come vi riusciva?
Intimorendo gli impiegati pubblici, contrattisti e quanti altri avessero interessi diretti con lo Stato facendo credere che i loro voti erano controllati dall’ente nazionale che gestisce le elezioni, utilizzando tutte le risorse dello stato (radio, televisione, mezzi di trasporto, finanziamenti, ecc.) durante le lunghe campagne elettorali, minacciando di togliere i sussidi delle missioni a coloro che si fossero astenuti di votare, ecc. Elezioni legittime, dunque, nonostante le accuse di brogli mosse dall'opposizione. Ma io sono convinto che le macchinette automatiche per le votazioni funzionassero, anche perché erano controllate dai tecnici delle università nazionali, non certamente filogovernativi.

Con tutto ciò si può parlare di vera democrazia?
Lascio ai lettori le conclusioni.

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