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La cittadella dei bianchi e la nostalgia dell'apartheid

A Kleinfontein, vicino a Pretoria, c'è una comunità isolata dai «coloured» Molti li guardano con sospetto, ma qualcuno (anche fra i neri) li difende

La cittadella dei bianchi  e la nostalgia dell'apartheid

All'ingresso dell'enclave non c'è il cartello «Solo bianchi» come ai tempi dell'apartheid. Ma all'interno di Kleinfontein, la Fontanella, a pochi chilometri dalla capitale del Sudafrica, non ci sono individui o nuclei familiari di colore. Li hanno definiti «gli irriducibili», quel migliaio di europei che hanno deciso di «vivere secondo i propri usi e costumi», ha detto apertamente Jan Groenewald, leader della micro isola Bianca, al sindaco di Tswane (ex Pretoria), che ha voluto visitare quel lembo di terra abitato da «razzisti duri a morire», come sono descritti in Europa.
«Siamo qui per rimanerci», è scritto a qualche centinaio di metri dall'ingresso dell'insediamento, un'azienda agricola di 721 ettari dove i circa mille afrikaners vivono in forma totalmente autonoma. Tra di loro ci sono idraulici, ingegneri, carpentieri e, da buoni boeri, agricoltori. «Se fossi un razzista come certa stampa vuole definirci, non parlerei con i neri o non mi abbasserei a commerciare con loro», dice Kobus Odendaal.
La storia risale a una decina di giorni orsono e l'eco si è smorzata rapidamente sulla stampa locale. Il Sudafrica - paese dove nessuno ha mai pensato o suggerito di creare un ministero per l'Integrazione - il rapporto tra ex colonizzati e colonizzatori, tra i cittadini del pre e post-apartheid, è sancito dalla Costituzione. «Ogni cittadino - recita l'articolo 21 - ha il diritto di muoversi e abitare e risiedere in qualsiasi parte della Repubblica».
A parte la presenza all'ingresso di un gigantesco busto bronzeo del padre-fondatore dell'apartheid, l'olandese Hendrik Verwoerd, i venti e più dirigenti del municipio di Tswane non hanno potuto far altro che accettare il fait-accompli.
Diverse le reazioni della stampa. «Voi del pubblico, cosa ne pensate?», chiedeva dalle sue colonne il foglio locale Pretoria News. Le risposte sono state le più svariate: «Se è vero che adesso viviamo in una democrazia - scrive Patty Smith - ricordiamoci quello che disse Voltaire: “Non sono d'accordo su quello che dici ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di esprimere un'opinione”. Quelli di Kleinfontein non danno fastidio ad alcuno, vivono la loro vita…».
«...Nessuno critica gli Xhosa, gli Zulu e i Khoisan che vogliono preservare la loro eredità culturale - spara Rafig Johnson -. Sono un coloured e vogliono definirmi discendente... discendente da chi? Noi coloured abbiamo più sangue bianco e nero dei Khoisan, lasciate in pace quelli di Kleinfontein». Ma c'è chi la pensa diversamente. Mark è lapidario: «Cacciateli dal Paese», mentre Salina H. osserva che «se a Kleinfontein la gente può girare per strada senza pericolo d'essere rapinata o stuprata, allora lasciate in pace l'enclave di Kleinfontein».
Ma sono cittadini sudafricani o razzisti eredi del regime segregazionista? «Soltanto qualcuno ha sventolato - durante ricorrenze storiche di noi Afrikaners - la bandiera del vecchio Sudafrica. La nostra bandiera è quella ufficiale. Razzismo? Se vogliamo vivere tra di noi sono fatti nostri. Nessuno impedisce a chicchessia di venire qui se può acquistare un'abitazione», afferma Marisa Haasbroek, portavoce della comunità, che cita Andrew Shabalala, una sorta di Donald Trump sudafricano, che ha deciso di comprare «nell'esclusiva zona abitata dagli Afrikaners». Rimane il fatto, però, che il signor Shabalala, come molti altri personaggi in lista d'attesa, sarà soggetto a un profondo screening prima di essere accettato dalla comunità di Kleinfontein.
C'è di più. Mentre da un lato si tuona al razzismo, c'è chi sostiene che, dopo vent'anni di democrazia la situazione in materia di discriminazione razziale si sia capovolta. «Fioriscono club e associazioni di gente di colore, come il Black Lawyer Forum (il Foro degli Avvocati Neri), il Black Economic Empowerment, il Black Education Upgrading. Ma nessuno dice nulla», scrive Terry Hudson -. Immaginiamoci se dovesse nascere un White Lawyer Forum».
Ciò che più impensierisce le autorità in questo momento non è Kleinfontein, ma l'immigrazione e il problema, per ora mascherato, della xenofobia. I rifugiati politici di Etiopia, Somalia, Ruanda, Zimbabwe, Nigeria e di un altra mezza dozzina di paesi che non riescono a raggiungere il Mediterraneo, sbarcano nella sempre accogliente terra sudafricana. E dopo poco tempo si scontrano con gli autoctoni. «Non siamo razzisti - commentavano la settimana scorsa i responsabili del saccheggio di alcuni negozi somali -, ma questi qui lavorano 18 ore al giorno...

ci rubano tutti gli affari».

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