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Dietrofront di Kiev: «Sì alle autonomie»

Kiev non sfida più l'orso russo e a parole apre ai ribelli pro Mosca dell'Ucraina orientale. Il premier, Arseni Iatseniuk, in visita a sorpresa a Donetsk, città roccaforte della protesta, ha detto sì al referendum per una maggiore autonomia. L'impressione è che l'uso della forza sia stato congelato. L'ultimatum per sgomberare gli edifici pubblici occupati è slittato anche se potrebbe trattarsi solo di uno specchietto per le allodole. I corpi speciali e blindati inviati nella zona sono sempre pronti ad intervenire con un'operazione già pianificata probabilmente nelle ore notturne. «I filo russi non molleranno e bisognerà vedere cosa succederà il primo e 9 maggio, festa della vittoria sui nazisti, in vista delle elezioni presidenziali previste per il 25 maggio» dichiara a il Giornale una fonte diplomatica a Kiev.
Non solo: ieri il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in visita a Sofia ha ribadito che l'Alleanza atlantica «aumenterà la sua presenza in Europa orientale e nella regione del Mar Nero». La nuova guerra fredda si giocherà su un numero maggiore di esercitazioni navali ed un nuovo piano di difesa aerea. «Abbiamo già aumentato la presenza militare nello spazio aereo del Baltico ed implementato l'Awacs, il sistema di allarme e controllo aviotrasportato, in Romania e Polonia» ha sottolineato Rasmussen.
Ieri alle dieci scadeva l'ultimatum del governo di Kiev ai filo russi che occupano il palazzo del governatore a Donetsk e la sede dei servizi segreti a Lugansk. Il gruppo paramilitare «lo scudo» è pronto a combattere se i blindati ucraini cercheranno di sfondare le barricate. Le bandiere dell'autoproclamata repubblica di Donetsk, che si rifà ad un esperimento storico durato poche mesi nel 1918, sono il vessillo dei separatisti. In realtà gran parte degli 8 milioni di russi del sud est si potrebbe accontentare di una maggiore autonomia.
Per questo il premier Iatseniuk ha caldeggiato la presentazione di una legge che consenta referendum locali sulla status della regione, oggi vietati dalla costituzione. Ad ascoltarlo in prima fila c'era l'oligarca Rinat Akhmetov, l'uomo più ricco dell'Ucraina che aveva appoggiato il deposto presidente Viktor Yanukovich travolto dalla rivolta di Maidan. Adesso tira le fila degli oligarchi nominati da Kiev a governatori del turbolento Est. Il primo ministro non solo ha parlato di una riforma costituzionale per «bilanciare i poteri centrale e delle regioni», ma garantito lo status di lingua ufficiale al russo nelle zone dove viene parlato da almeno il 10% della popolazione.
Ambedue cavalli di battaglia dei ribelli, che hanno le spalle coperte dalle truppe di Mosca a due passi, appena oltre il confine. Secondo il ministro egli Esteri russo, Serghiei Lavrov, non esiste «alcun piano di far aderire le regioni sud orientali dell'Ucraina alla Russia» come è successo con la Crimea.
Il braccio di ferro continua anche sull'energia. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha garantito che onorerà le forniture con i paesi occidentali, ma «il problema è assicurare il transito del gas attraverso l'Ucraina». Mosca vuole 2,2 miliardi di dollari di arretrati e ha imposto prezzo del gas a 480 dollari per mille metri cubi. Kiev non ha i soldi per pagare e spera di ottenere il gas russo da Polonia, Germania, Ungheria, Slovacchia con il sistema del «reverse flow» non facile da realizzare tecnicamente.
L'obiettivo di Mosca è un'Ucraina monca della Crimea trasformata in stato federale con una forte zona di influenza russa nel sud est. Kiev è disposta a concedere solo maggiore autonomia. Se ne discuterà la prossima settimana al summit di Ginevra fra Usa, Russia, Ucraina ed Unione europea, ma una scintilla può sempre fare esplodere la nuova Crimea.
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