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Dovevano essere liberati ieri, ma sono spuntate nuove accuse

Dovevano essere liberati ieri, ma sono spuntate nuove accuse

«Violenze non ne abbiamo subite, ma ci hanno portato in carcere dove certo non si sta bene. Siano solo onesti pescatori e non abbiamo fatto nulla di male. Ci avevano detto che saremmo stati liberati entro le 12 (di ieri, nda) e invece...» spiega con voce mesta al Giornale Pietro Russo, comandante di uno dei tre pescherecci italiani sequestrati dai libici giovedì sera. Lo abbiamo raggiunto via telefono nella prigione di Bengasi. «Non abbandonateci, non dimenticateci. Il console è qui con noi e sta facendo il possibile, ma secondo me ci vorrebbe un intervento del governo da Roma» è l'appello del comandante di Mazara Del Vallo.
Sembrava che tutto dovesse risolversi in poche ore, ma ieri i 19 membri dell'equipaggio dei pescherecci "Boccia II", "Antonino Sirrato" e "Maestrale", compresi 7 tunisini, sono stati trasferiti in carcere. Ufficialmente in stato di fermo in attesa di un interrogatorio, che dovrebbe avvenire oggi.
In realtà ci sarebbero nuove accuse. Non solo: la tensione nel porto di Bengasi stava salendo con i colleghi libici che imputavano gli italiani di «rubare il nostro pesce». L'incidente è il terzo episodio di una specie di «guerra» fra Italia e Libia. In novembre erano stati sequestrati due pescherecci mazaresi a Misurata e una settimana prima un altro a Tripoli. La nuova Libia sembra che adotti ancora la vecchia legge del colonnello Gheddafi, che estendeva le acque libiche a 72 miglia, mentre dovrebbero essere 12.
«Eravamo a 35 miglia, in acque internazionali, quando ci hanno abbordato - racconta il comandante Russo -. È stato drammatico. Erano armati di lanciarazzi e bombe a mano. Abbiamo avuto veramente paura. Scene del genere le avevamo viste solo in tv». Con i pescatori c'è il console italiano a Bengasi, Guido De Santis, che smorza la tensione con una battuta: «Sono con loro all'ora d'aria, ma non mi hanno ancora dato il pigiama a righe». Veterano degli stravolgimenti libici è fiducioso «che non si arrivi ad un processo». La Farnesina auspica «una rapida soluzione». Prima, però, i militari devono interrogare gli equipaggi e passare il caso alle autorità civili. I 19 pescatori si trovano in una sezione del carcere diversa da quella dei criminali incalliti.
Fa un po' rabbia che dopo aver bombardato Gheddafi i nostri «alleati» ci trattino a pesci in faccia sbattendo in galera degli italiani grazie a vecchie leggi del Colonnello. Sempre che non ci sia sotto qualcos'altro. Luca Bellotti, parlamentare Pdl, in Libia per incontri politici, ha raggiunto i pescatori a Bengasi poche ore dopo il sequestro. «Sono andato a salutarli alle 9 (di ieri nda), prima di rientrare a Tripoli - spiega Bellotti al Giornale -. Sembrava che ci si avviasse verso la liberazione, ma poi sono saltate fuori nuove accuse». Il parlamentare non si sbilancia, ma sembra che per i libici non si tratti solo di violazione di acque territoriali. O forse è una mossa dimostrativa della «guerra» del pesce.
Gli altri comandanti dietro le sbarre sono Gaspare Castano del Maestrale e Francesco Di Giovanni del Serrato. «Ci hanno sequestrato i cellulari e riusciamo a comunicare solo grazie al console - dice il capitano del Boccia II dal carcere di Bengasi -. Noi speriamo di venir rilasciati presto, se non ci dimenticate».
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