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Ecco perché l'America non ha deposto le armi e ha bocciato la riforma

Il fallimento della legge che limita i fucili non è figlio dei no repubblicani. Ma di un Paese che reclama il diritto di difendersi

Per Barack Obama era qualcosa di più di una semplice legge o di un programma politico. Era uno dei suoi cavalli di battaglia, una priorità morale, un impegno assunto di fronte all'America dopo la strage di Newtown costata la vita, lo scorso dicembre, a 20 bambini della scuola elementare Sandy Hook. Ora quella priorità si è tramutata in una delle sue più cocenti sconfitte. «Oggi è una giornata vergognosa per Washington, ma non finisce qui. La mia amministrazione farà di tutto contro la violenza». Con questo commento tra l'amaro e il livoroso Obama ha denunciato l'incapacità dei senatori repubblicani e democratici di siglare un'intesa bipartisan per una legge di riforma per il controllo delle armi. Per concretizzare l'accordo su una legge capace d'introdurre controlli più stringenti sulla vendita d'armi, mettere al bando i fucili d'assalto e vietare l'uso di caricatori ad alta capacità erano necessari almeno 60 voti. Mercoledì, al momento della conta, i promotori del nuovo testo non sono andati oltre i 54.

La bocciatura della riforma fortemente voluta da Obama non è figlia solo della tradizionale allergia repubblicana per qualsiasi limitazione ad un diritto garantito dal secondo emendamento della Costituzione. A far fronte compatto contro la riforma hanno contribuito molti senatori democratici - come Max Baucus del Montana e Mark Pryor dell'Arkansas - decisi a non giocarsi la rielezione in stati dove la fiducia in pistole e fucili rappresenta l'unica ed autentica fede bipartisan. La retromarcia del Senato ha però un significato che supera il confine della politica. Amplifica la distonia tra Washington ed il resto del paese, dimostra come il cuore del presidente non batta all'unisono con quello di una buona parte dell'America. A render ancor più evidente questa distonia contribuisce la coincidenza temporale con l'apparente svolta nelle indagini sulla carneficina di Boston. Rinunciare alla riforma mentre si ipotizza l'emergere di un terrorismo interno figlio di un estremismo di destra deciso a difendere con tutti i mezzi il diritto a possedere un'arma può sembrare paradossale. Ma lo è solo per una mente europea.

In America la cosiddetta «cultura delle armi» non è una prerogativa delle frange più fanatiche della destra. Il diritto a possedere un'arma per autodifesa è considerato un elemento fondamentale di libertà. La battaglia di Lexington del 19 aprile 1775, il primo atto della Rivoluzione americana celebrato ogni anno proprio con la maratona di Boston, fu la conseguenza del tentativo inglese di sequestrare i cannoni e le riserve di polvere da sparo dei coloni. Le armi simbolo della rivolta delle «milizie» patriottiche diventano poi l'icona di una conquista del West dove Colt 45 e Winchester rappresentano l'unica difesa contro banditi ed indiani. Ma la cosiddetta «cultura delle armi» non è solo storia. Secondo i dati aggiornati al 2011 del «Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives» il 46 per cento degli adulti maschi e il 23 per cento delle donne possiede un'arma, mentre il 47 per cento della popolazione complessiva vive con almeno una pistola o un fucile nell'armadio. Per una buona metà dell'America dunque il vero paradosso è rinunciare ad un diritto costituzionale solo perché un folle ha trasgredito la legge.

E di questa convinzione - sottovalutata da Obama, ma incarnata nell'animo dei cittadini e nella storia del paese - ha dovuto tener conto ieri il Senato.

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