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Giornalisti rapiti, basta ipocrisia Quei ribelli sono dei terroristi

La troupe Rai "fermata" tre giorni fa è nelle mani di un gruppo di integralisti. Ma i media minimizzano i rischi perché sono anti Assad. E l'Italia li sostiene

Giornalisti rapiti, basta ipocrisia Quei ribelli sono dei terroristi

Bloccati. Fermati. Ma perché non «invitati»? O addirittura «ospitati»? La rassegna dei titoli sui giornalisti italiani caduti nelle mani di al-Nusra, un gruppo ribelle siriano d'ispirazione jihadista, sarebbe comica se non fosse vera. Per le edizioni on line di Repubblica, La Stampa e l'Unità - tanto per citarne alcuni - Amedeo Ricucci, Andrea Vignali, Elio Colavolpe e Susan Dabbous non sono stati rapiti. Non sono prigionieri. Sono bloccati in attesa di chiarimenti. Come un viaggiatore senza documenti al valico di Chiasso. Peccato che nella provincia siriana di Idlib, al di là del confine turco, non ci siano i doganieri svizzeri, ma i militanti di Jabhat al-Nusra, una delle più fanatiche formazioni d'ispirazione jihadista attive sul fronte siriano. Una formazione che Washington, pur impegnata nel sostenere le forze anti Assad, inserisce nell'elenco dei gruppi terroristi. Una formazione che si batte per la trasformazione della Siria in un Califfato e conta tra le proprie fila i veterani del gruppo di Zarqawi, la cellula qaidista irachena famosa per la decapitazione di ostaggi occidentali.

Ma questi particolari evidentemente appaiono irrilevanti. Dopo aver perso di vista l'involuzione fondamentalista della rivoluzione tunisina, egiziana e libica una parte della stampa preferisce chiudere gli occhi anche sulla radicalizzazione della rivolta anti Assad. Nasce anche da qui la compiacenza e la disponibilità con cui si accetta il suggerimento, proveniente della galassia ribelle e dalle loro quinte colonne italiane, di abbassare i toni a spacciare un evidente sequestro di persona per un innocuo «fermo temporaneo». L'atteggiamento, intendiamoci, è legittimo. Se Parigi e Londra cercano da mesi di convincere il resto dell'Unione Europea a finanziare una galassia ribelle chiaramente egemonizzata dalle formazioni più radicali, anche la stampa è libera di schierarsi. Ma se schierarsi è comprensibile, meno lecito è farsi trascinare in un ipocrita e acquiescente torpore con cui si rischia di giustificare non solo il sequestro di un collega, ma anche le sue peggiori conseguenze. Se si accetta l'idea che un gruppo di fanatici possa sequestrare dei colleghi per verificare se siano spie o autentici giornalisti, allora lo stesso gruppo potrà sentirsi giustificato ad applicare la propria fanatica legge se riterrà fondati i propri sospetti. Così andò in Iraq nel 2004 con il povero Baldoni, eliminato da un gruppo che lo considerava una spia.

Da questo punto di vista anche la situazione di Ricucci e compagnia inizia a farsi preoccupante. Chi continua a chiamare «fermo» il loro sequestro farebbe meglio a contare le ore trascorse da giovedì pomeriggio. A questo punto sono oltre 72. Sufficienti a un gruppo organizzato come al-Nusra per contattare le proprie cellule italiane e chiarire che Ricucci e gli altri sono autentici giornalisti impegnati da mesi a documentare le attività dei gruppi anti Assad.

Assicurazioni che i nostri servizi segreti e quelli turchi hanno probabilmente già passato ai loro omologhi del Qatar e dell'Arabia Saudita, notoriamente in contatto con al-Nusra. Più il tempo passa più il cordiale «fermo» rischia di trasformarsi in qualcosa di ben più serio di una «vacanza». La speranza è, ovviamente, che i nostri colleghi tornino liberi nelle prossime ore. Ma se così non sarà, chi esibisce una remissiva acquiescenza con i rapitori dovrà incominciare a chiedersi se il proprio atteggiamento non rischi di legittimare il sequestro.

E tutte le sue eventuali conseguenze.

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