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La guerra (economica) tra Occidente e Mosca è già incominciata

A rischio un interscambio commerciale di oltre 200 miliardi Italia particolarmente vulnerabile sul piano energetico 

La guerra (economica) tra Occidente e Mosca è già incominciata

La battaglia finanziaria è già incominciata. E rischia di trasformarsi in un'autentica guerra. Una guerra disastrosa innanzitutto per l'Europa e per l'Italia. Il costo di quel conflitto è già scritto. Oggi l'Unione Europea esporta in Russia per oltre 123 miliardi di euro mentre acquista da Mosca per circa 212 miliardi. La vera differenza sui piatti della bilancia commerciale non la fanno però le cifre, bensì i prodotti. Mentre noi europei piazziamo sui mercati russi macchinari industriali, automobili e beni di consumo Mosca ci vende petrolio e gas. Ci garantisce insomma quell'energia che l'Europa non possiede e stenta sempre più a trovare. Il discorso vale soprattutto per l'Italia. Per il nostro Paese la Russia è una sorta di Bengodi. Nel 2013 le nostre aziende hanno esportato beni per oltre 10 miliardi di euro garantendo forniture di macchinari, prodotti alimentari e abbigliamento. In cambio Gazprom e gli altri giganti russi ci forniscono il 30 per cento del metano con cui riscaldiamo le nostre case e mandiamo avanti le nostre aziende. Per questo accodarsi all'Europa e agli Stati Uniti per dichiarar guerra a Putin nel nome dell'Ucraina rischia di rivelarsi un autentico suicidio. Soprattutto per un'Italia alla ricerca di una timida ripresa dopo anni di recessione.
L'Europa invece ci spinge inevitabilmente in quella direzione. Gli appuntamenti sono già fissati. Oggi i ministri degli esteri dei Ventotto si ritrovano a Bruxelles per decidere le sanzioni con cui «punire» la Russia. Sanzioni che potrebbero venir inasprite nel Consiglio europeo di giovedì 20 marzo. Le misure prevedono per ora congelamenti di beni e limitazioni ai movimenti di alcuni esponenti russi. Nel mirino vi sarebbero un centinaio di personalità russe tra cui personaggi chiave come l'amministratore delegato di Gazprom Alexei Miller e quello di Rosneft Igor Sechin. Di fronte ad un simile smacco Mosca ben difficilmente resterà a guardare. Le ricadute delle scelte europee rischiano di colpire soprattutto le aziende italiane. La prima a farne le spese potrebbe essere la Saipem. Solo qualche giorno fa l'azienda italiana ha firmato un appalto da 2 miliardi di euro per la costruzione del primo tratto di South Stream, il gasdotto con cui Gazprom punta a portare il metano in Europa e a isolare l'Ucraina. Accodandoci all'Europa e agli Stati Uniti di Obama rischiammo insomma di perdere le redditizie commesse legate alla costruzione dei 931 chilometri di questo gasdotto.
Ovviamente una guerra economica non gioverebbe neppure a Mosca. Un blocco totale delle esportazioni di gas e petrolio nel Vecchio Continente costerebbe a Putin circa 54 miliardi di euro e lo costringerebbe a far i conti con una perdita immediata di circa il 4 per cento del prodotto interno lordo. Ma mentre noi europei sprofonderemmo nel gelo energetico e le nostre merci stenterebbero a trovare altri mercati Vladimir Putin potrebbe convogliare gas e petrolio su quei mercati asiatici affamati d'energia. La scelta di «punire» la Russia appare ancor più infausta considerando quel che Europa e Italia finiranno con l'ottenere in cambio. Battendosi per l'Ucraina Bruxelles s'accollerà l'adozione e lo sviluppo di una nazione priva di risorse e letteralmente in bancarotta. Una nazione a cui dopo la «rivoluzione» di febbraio ha già dovuto garantire stanziamenti d'emergenza per quasi 11 milioni d'euro. La mossa successiva sarà ancora più ardua. L'inasprimento dello scontro dopo il referendum in Crimea di ieri costringerà inevitabilmente l'amica e alleata Europa a garantire il salvataggio energetico di Kiev mettendole a disposizione quel gas che Mosca ben difficilmente continuerà a fornire. Un impegno non da poco. Soprattutto se nel frattempo la stessa Europa dovrà pensare a rimpiazzare un terzo del proprio metano.

Quello fornitole fin qui dai «cattivi» di Gazprom.

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