Mondo

La guerra segreta contro Assad: mazzette ai vip siriani per fuggire

Americani, inglesi, turchi, sauditi e il solito ricchissimo emiro del Qatar (ma anche l'Italia) sborsano milioni di dollari per favorire le diserzioni

La guerra segreta in Siria si combatte a colpi di mazzette per convincere i pezzi grossi del regime a disertare. Occidentali e Paesi arabi stanno sborsando un fiume di denaro per «incentivare» la fuga di generali e politici con l'obiettivo di far crollare il sistema di Bashar al Assad. Lo rivela il Times che indica come chiave di volta della strategia della mazzetta una riunione a Doha, in Qatar, dello scorso maggio degli ambasciatori a Damasco. Nel giro di soldi per oliare le diserzioni sono coinvolti anche i Paesi cosiddetti «amici della Siria», tra i quali c'è l'Italia.
Dopo l'incontro di Doha è un dato di fatto che i disertori sono aumentati a dismisura raggiungendo i vertici del regime. In luglio il primo vero Vip siriano ad abbandonare Assad è stato il suo amico di gioventù, Manaf Tlass, uno dei più famosi generali della Guardia repubblicana. «Non è un disertore, ma un milionario» ha spifferato al Times uno dei coordinatori dell'Esercito siriano libero. L'alto ufficiale aveva già pronto un esilio dorato a Parigi dove era riparato da tempo il padre, che in Siria è stato ministro della Difesa.
Nel primo anno di rivolta erano scappati soldati, ufficiali inferiori, qualche colonnello e generale. Fra giugno e agosto gli alti ufficiali sono aumentati ad un ritmo impressionante. Solo in Turchia hanno trovato rifugio 27 generali siriani, che non si sono mossi con le valigie di cartone. «Sono state pagate delle mazzette - racconta una fonte del Times -. I servizi segreti occidentali si impegnano ad incentivare la diserzione degli ufficiali di regime». Il 5 agosto è fuggito in Turchia il generale Muhammad Ahmed Faris, il primo astronauta siriano nello spazio con le navicelle sovietiche. Un colpo di immagine non indifferente, ma la vera batosta è arrivata il giorno dopo con la diserzione in Giordania del primo ministro, Riad Hijab, nominato da poco da Assad.
L'inizio dell'erosione a suon di soldi è cominciata con i diplomatici. Il più importante, che ha abbandonato il posto a luglio, è Nawaf Fares, ambasciatore siriano a Bagdad, veterano del regime con incarichi nei servizi segreti.
Tutto è iniziato a Doha quando arabi ed occidentali si sono resi conto, secondo una fonte del Times a conoscenza dei dettagli della riunione, «che le diserzioni non erano sufficienti. Bisognava incentivarle. La parola mazzette non è mai stata pronunciata, ma alla fine era chiaro a tutti il da farsi». Stiamo parlando di milioni di dollari e della garanzia di un posto al sole in esilio o nel futuro della Siria per evitare l'incubo peggiore dell'Occidente, ovvero la nascita di un nuovo Iraq. Americani, inglesi, turchi, sauditi e l'emiro del Qatar sono in prima linea nell'elargire un lauto compenso per la diserzione, che spesso è complicata dai legami familiari e tribali. Hijab, l'ex primo ministro, ha organizzato prima della fuga la discreta partenza dei numerosi parenti, per evitare rappresaglie. Tutta gente che non va a dormire sotto una tenda di un campo profughi. Questo genere di operazioni, oltre ad essere pericolose, costano molto e devono garantire un futuro economico a chi si imbarca nell'avventura.
L'ultima voce che circola sulle diserzioni eccellenti riguarda il vicepresidente siriano Farouq al-Sharaa. Ex ambasciatore a Roma che americani e turchi vedrebbero bene al posto di Assad. Da Damasco smentiscono qualsiasi fuga e tantomeno gli arresti domiciliari per Al Sharaa, ma ieri Haytham al-Maleh, prigioniero politico siriano di lungo corso, non aveva dubbi. Il numero due del regime si troverebbe «in un Paese arabo vicino e annuncerà ufficialmente la sua defezione tra qualche giorno». Il veterano dell'opposizione ha annunciato molte sorprese nelle prossime settimane e si dice convinto che «la banda al governo, erosa al suo interno, crollerà presto» a suon di dollari.
Intanto, dopo le minacce del presidente americano Barack Obama di intervenire militarmente in Siria se sarà superata «la linea rossa» dell'impiego di armi chimiche, ieri il regime ha reagito accusando Washington di essere in cerca di pretesti per aggredire Damasco. «Quelle di Obama sono minacce propagandistiche legate alle elezioni presidenziali», ha accusato il vicepremier Kadri Jamil, che ha paragonato la situazione in Siria a quanto a suo tempo avvenuto in Iraq, dove «l'intervento straniero è stato innescato dal pretesto della presenza di armi di distruzione di massa». Un altro «pretesto» potrebbe essere rappresentato dalle continue notizie di eccidi, come quello denunciato ieri dai ribelli con il ritrovamento di 40 cadaveri nei sotterranei di una moschea presso la capitale. Senza dimenticare l'uccisione in 48 ore di due giornalisti stranieri ad Aleppo, la giapponese Mika Yamamoto e il palestinese Bashar Fahmi.
www.

faustobiloslavo.eu

Commenti