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Istanbul, Erdogan schiaccia la protesta

Repressione in Turchia. Prima dei cortei il premier proclama: "Chi va in piazza Taksim sarà arrestato". Poi cariche, lacrimogeni e manette

Istanbul, Erdogan schiaccia la protesta

Istanbul è una fortezza, la sua fortezza, Taksim è la sua piazza, anche ieri, anniversario della rivolta che in quella piazza ha fatto almeno 7 morti e 3000 feriti: la Turchia, per come la vede lui, Recep Tayyip Erdogan, è un cavallo bizzoso da tenere a freno, il ricordo di quelle giornate una perversione da sedare con la forza. Mentre 25mila poliziotti si posizionavano in tutta la zona pericolosa, dozzine di cannoni ad acqua prendevano posto, i mezzi corazzati occupavano il terreno, venivano chiuse sia la strada principale Istiklal Caddesi, sia le vie d'acqua: i ferry e le barche si bloccavano con gli autobus a disegnare un vero stato d'assedio, Erdogan ha detto la sua: «Se andate in piazza, sappiate che le nostre forze di sicurezza hanno ricevuto istruzioni precise e faranno qualunque cosa si renda necessaria, dall'a alla zeta... non vi sarà permesso di fare quello che è accaduto lo scorso anno perchè siete obbligati a rispettare le leggi. Se non ubbidirete, lo Stato farà quanto necessario». La promessa è chiara: si tratta di prigione, botte, ferite, persino della morte.

Una legge inaugurata l'anno scorso proibisce ai medici di soccorrere i feriti, e questo rende le parole di Erdogan ancora più minacciose. Cionostante ieri migliaia di persone si sono recate in piazza Taksim e la polizia ha usato i lacrimogeni per disperderle.Un giornalista della Cnn, Ivan Watson, è stato cacciato a calci dalla piazza. Il Primo Ministro ha parlato degli organizzatori della manifestazione nell'anniversario di Taksim come di «terroristi», torna il suo stilema preferito, quello della congiura internazionale, sempre in uso per i suoi numerosi guai politici interni e anche per la tragedia della miniera di Soma, in cui hanno perso la vita 300 lavoratori. Anche là erano stati gli israeliani, la sua ossessione malata, ad aver provocato il disastro, come anche ad aver organizzato la caduta di Morsi, Fratello Musulmano come lui, in Egitto; e hanno sostenuto anche il suo arcinemico Fetullah Gulem, il clerico che vive in America e disturba il manovratore con la sua potente rete organizzativa, e i giornalisti, e Google «la peggiore minaccia per la società contemporanea».

Erdogan è al potere dal 2002, il suo Akp ha riportato l'Islam politico nella Turchia che si faceva largo con incerte e coraggiose bracciate lungo il fiume kemalista verso la democrazia e l'Unione Europea. Nonostante la politica squilibrata e eccitata che ha condotto da allora, è sempre riuscito a riconquistare il favore della maggioranza. Il 30 di marzo ha vinto di nuovo le elezioni nonostante le intercettazioni che esponevano il coinvolgimento suo e delle famiglia in storie milionarie di corruzione, nonostante il numero di giornalisti imprigionati ricordi la Cina, e nonostante il processo Ergenekon sia riuscito a mettere a tacere tutta la classe militare guardiana del potere laico in Turchia. Erdogan da 21 milioni di voti nelle elezioni precedenti è passato a 19,5, e la gente che manifestò per l'altra Taskim anche in provincia creò un movimento di massa calcolato a tre milioni e 600mila. L'opposizione esiste ed è forte e variegata, da Gulem ai movimenti secolaristi, ai gruppi di studenti, alla protesta delle donne per quel velo che reintrodotto da Erdogan come permesso (Kemal Atatürk l'aveva proibito) di fatto è diventato un simbolo. I giovani hanno odiato anche la proibizione di vendere alcolici dalle dieci di sera alle sei di mattina. Erdogan ha dovuto anche subire la liberazione di molti dei generali e dei giornalisti che aveva fatto imprigionare; continue manifestazioni di protesta mostrano che la Turchia ha un largo nucleo secolare. Quando è stato ucciso Berkin Elvan, un quindicenne che andava a comprare il pane, e poi il 21 di marzo scorso ci sono stati altri due morti, quando i social network sono stati chiusi perchè accusano Erdogan di corruzione, la folla non ha mancato di rispondere. Poi però entra in scena il dittatore di cui invece per anni Obama ha lodato «la grande leadership», nel ruolo di ponte fra mondo occidentale e mondo islamico.

Ma ormai, tutto questo è tramontato.

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