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Kiev cerca "mamma America" e toglie l'acqua alla Crimea

L'Ucraina vuole l'intervento di Obama e per provocare Putin lascia l'Est all'asciutto. Domani nuove sanzioni del G7. Ma l'Europa teme per i mercati, la Merkel per i rapiti

Truppe regolari ucraine vicino a Slovyansk
Truppe regolari ucraine vicino a Slovyansk

Prima era una partita di scacchi, ora è una una spericolata mano di poker. Da una parte c'è lui Vladimir Putin, lo zar di ghiaccio. Fin qui ha vinto tutte le mani, ha un bel gruzzolo da spendere e continua ad avere in mano le carte migliori. Dall'altra parte c'è un Barack Obama sconfitto giro dopo giro e costretto ormai a giocarsi il tutto per tutto. Con Putin ha perduto ogni partita da quella su Snowden e la Siria, fino a quella della Crimea. Ora lo scontro sul Donbass, i territori orientali dell'Ucraina, su cui i separatisti filorussi annunciano di voler organizzare un referendum per l'indipendenza già l'11 maggio, minaccia di diventare quello decisivo. Anche perché nel frattempo il presidente americano inanella una sconfitta dopo l'altra. L'ultima débâcle è quella dell'Estremo Oriente dove non solo non chiude i fondamentali accordi economico-commerciali con l'alleato giapponese, ma deve pure ingoiare, strada facendo, il nuovo stallo nei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi. Rilanciare sul caldo fronte del Donbass non è però semplice. Lì Obama deve guardarsi anche dalle possibili provocazioni inscenate dagli «amici» di Kiev.

Il premier ucraino Arseny Yatseniuk che ieri a Roma ha approfittato degli incontri con il Papa e con Matteo Renzi per liquidare come terroristi i separatisti filorussi e accusare Mosca di preparare la guerra, non è il più affidabile degli alleati. In questo momento il leader di Kiev -che intanto ha chiuso le forniture idriche alla Crimea, lasciandola all'asciutto- ha tutto l'interesse a esasperare la situazione per spingere Stati Uniti ed Europa a un maggiore coinvolgimento anche sul piano militare. Ma Obama conosce bene i rischi di un'escalation che oltre a innescare il rapido dietrofront di molti paesi europei garantirebbe a Putin un ottimo pretesto per muovere i 40mila uomini concentrati alle frontiere orientali e mangiarsi il Donbass. Occupare l'Est del Paese, sottrarre a Kiev le più importanti risorse minerarie e industriali e trasformare l'Ucraina in una nazione mutilata equivarrebbe però a spingere la Russia su una strada senza ritorno. Per Putin sarebbe, invece, assai più conveniente negoziare un'ampia autonomia per Donetsk e le regioni orientali garantendo sia la sopravvivenza formale dello stato ucraino, sia il mantenimento di un cordone ombelicale tra Mosca e le minoranze russofone dell'est Ucraina.

Esclusa la svolta militare, Obama può dunque solo continuare sulla strada della guerra economica. Ma anche qui le carte rimastegli sono tutt'altro che eccezionali. L'inasprimento delle sanzioni concordate da Europa e Stati Uniti e destinate, stando a quanto annunciato dalla Casa Bianca, a colpire importanti esponenti del sistema bancario e finanziario di Mosca sta già facendo storcere il naso agli alleati europei. Angela Merkel, paladina di un'Europa più agguerrita nei confronti di Mosca, oltre a fare i conti con il malcontento delle proprie imprese e dei propri industriali, deve anche misurarsi con una nuova incognita. Tra i 13 membri della missione Osce sequestrati dai miliziani filorusssi nella città orientale di Slovyansk e accusati di spionaggio vi sono, infatti, sette cittadini tedeschi che necessitano dei buoni uffici di Mosca per tornare a casa nel più breve tempo possibile.

Buoni uffici sollecitati, ieri, dal ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier nel corso di una lunga telefonata con l'omologo Serghiei Lavrov durante la quale sono stati studiati i «possibili passi per un disinnesco della situazione». Mosse che come ha spiegato Lavrov, dopo un'ulteriore telefonata con il segretario di Stato Usa John Kerry, passano per la fine dell'intervento militare di Kiev nelle provincie orientali. Dopo i bluff al buio tutti cercano ora di negoziare e prendere tempo.

Sperando che nessuno si sogni di andare a vedere.

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