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A Kiev gli "europeisti" non sono angeli

Il premier filorusso scatena la repressione, ma sulle barricate ci sono le formazioni paramilitari dell'ultradestra

A Kiev gli "europeisti" non sono angeli

Europa e Stati Uniti li corteggiano e minacciano sanzioni per proteggerli. Per loro i manifestanti di Kiev - che da ieri piangono un quarto compagno ucciso dalla polizia dopo i tre di mercoledì - sono il simbolo della voglia di libertà dell'Ucraina. E i loro leader sono dei sinceri europeisti pronti a difendere gli ideali liberali di Bruxelles. Ma se a far da contraltare ai sogni europei dell'opposizione ucraina non ci fosse quella bestia nera di Vladimir Putin, Bruxelles e Washington sarebbero altrettanto pronti a sostenerli? Interrogativi non peregrini visto che lo scontro con presidente Viktor Yanukovich - accusato di connivenza con Putin - sembra radicalizzarsi. Ieri ancor prima di partecipare all'incontro con il presidente concordato per stemperare la tensione Vitaly Klitschko, l'ex campione di pugilato capofila dell'opposizione, ha minacciato di spingere la piazza «all'attacco» se non verranno indette nuove elezioni presidenziali e il governo non accetterà di dimettersi cancellando le nuove leggi anti sommossa.
L'ultimatum, oltre a contenere un'implicita minaccia di violenza, calpesta molte di quelle regole democratiche sognate dall'Ucraina. In fondo Viktor Yanukovich è un presidente regolarmente eletto e i sondaggi continuano a disegnare un Paese diviso al 50 per cento. Anche le dimissioni «firmate» ieri dal governatore di Leopoli Oleh Salo dopo un assalto al suo palazzo non sembrano il frutto di un confronto liberale. «Dopo aver visto quanto erano turbolenti ho scritto quella lettera perché ero preoccupato per la sicurezza e l'incolumità del personale», ha detto Salo una volta in salvo. Ma c'è di peggio. Il passato dei vari aspiranti democratici di Kiev nasconde macchie sufficienti a delegittimare qualsiasi oppositore europeo o statunitense. Yulia Tymoshenko, la fascinosa icona democratica imprigionata con l'accusa, probabilmente infondata, di abuso di potere, fa i conti con il passato da piccola oligarca degli anni Novanta quando guidava - assieme al marito Oleksandr - la compagnia responsabile delle importazioni di gas dalla Russia. Un'attività che le valse il soprannome di «principessa del gas» e il sospetto di aver allungato mazzette per 100 milioni di dollari all'ex premier ucraino Pavlo Lazarenko poi accusato di corruzione dai giudici statunitensi.

I nuovi compagni di strada dell'ex «principessa» non sembrano migliori di lei. L'ex pugile Vitaly Klitschko, pronto a «stendere» Yanukovych, continua a dover giustificare le foto anni Novanta che lo ritraggono a braccetto con Viktor Ribalko, un boss della mafia russa eliminato in un regolamento di conti nel 2005. Prima di diventare un campione del ring Klitschko non avrebbe esitato a mettere i propri pugni al suo servizio aiutandolo a riscuotere interessi e tasse di protezione. E a generare altri sospetti sulla sua reale indole contribuiscono le cospicue discrepanze tra le concilianti dichiarazioni rilasciate ai media internazionali e quelle, ad uso strettamente interno, in cui ipotizza per Yanukovich un epilogo «in stile Gheddafi o Ceausescu».

Ma per far scattare l'allarme rosso dell'opinione pubblica europea basterebbe avvicinare il termometro dell'inclinazione democratica a Oleh Tyahnibok, terza gamba del tavolo dell'opposizione e leader del partito Svoboda (libertà). Già militante in passato del Partito Nazional Sociale, una delle formazioni dell'estrema destra ucraina, Tyahnibok si è lasciato più volte andare a dichiarazioni definite violente ed antisemite. Prime fra tutte quelle del del 2005 quando - parlando sulle tombe dei partigiani antisovietici - non esitò a definirli «il peggior incubo della mafia russo-ebraica che governa l'Ucraina». E a Svoboda e al suo leader s'ispirano i dimostranti di Piazza Indipendenza armati di spranghe e bastoni che incitano allo scontro aperto e si definiscono nemici giurati non solo della Russia, ma anche dell'Europa.

Come dire un concentrato di tutto quel che Washington e Bruxelles si guarderebbero bene dal tirarsi in casa.

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