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L'incubo dell'Argentina: dal miracolo al nuovo crac

Per la seconda volta in 13 anni il Paese rischia di non pagare i debiti. Dopo il default del 2001 si parlò di ripresa modello. Ma era un bluff

L'incubo dell'Argentina: dal miracolo al nuovo crac

L'incubo si chiama default e in Argentina ha l'aspetto di una malattia da cui non si guarisce mai. Oggi lo spettro del virus torna a fare paura. L'angoscia del contagio si è già iniziata a diffondere. I numeri hanno già preso a girare impazziti, lo spread dei titoli argentini sui corrispondenti titoli americani che si gonfia a dismisura. Gli argentini hanno ascoltato il discorso a reti unificate del loro presidente Cristina Kirchner. È dovuta intervenire lei stessa, per sedare, spengere il fuoco del panico che stava divampando. perché la notizia è arrivata inaspettata e lapidaria: la Corte Suprema americana ha rigettato il ricorso di Buenos Aires e ha vietato al Paese latinoamericano di effettuare qualunque pagamento sul debito ristrutturato dopo il suo storico default nel 2001 se non rimborsa anche i fondi hedge che hanno rifiutato l'accordo.

Insomma, niente da fare sullo sconto sui debiti; vanno onorati e fino in fondo, senza sconti, senza scorciatoie. Quindi lo Stato debitore paghi. «Un'estorsione» ha detto la presidenta. Il governo argentino dovrà quindi pagare 1,33 miliardi di dollari ad alcuni possessori di titoli di stato che non accettarono la ristrutturazione successiva al default argentino del 2001 e il Paese oggi rischia di assistere impotente al secondo, terrificante, incubo default.
Si corre ai ripari e per il momento sembra che funzioni. I bond argentini con scadenza nel 2033 cedono sì 2 punti circa ma la temuta corsa verso l'uscita non c'è stata. La sensazione sui mercati sembra dunque essere che l'esecutivo di Christina Kirchner cercherà ogni strada per evitare il default, compresa quella negoziale nonostante le dichiarazioni di facciata secondo cui non intende farsi espropriare dai fondi avvoltoio a cui la Corte Suprema americana ha dato ragione.
Ieri il ministro dell'economia Axel Kicillo ha garantito da una parte che l'Argentina onorerà i suoi impegni e dall'altra ha proposto una ristrutturazione del debito in base alla quale i detentori di titoli argentini emessi in base alla legge americana possono accettare di ricevere bond regolati dalla legge argentina e che pagano un rendimento molto più elevato. Si intavolano trattative per non far scivolare il Paese.

Sono ancora troppo freschi i ricordi tremendi di quel 2001 quando la classe media si ritrovò spazzata via dall'onda anomala della crisi, quando moltissime famiglie di origine italiana decisero di fare gli immigrati di ritorno, e riprovare con la fortuna tornando nel Paese dei padri. Oggi per le famiglie di tassisti, di impiegati, di operai che si stavano rialzando, l'arrivo di un secondo Tsunami sarebbe non solo avvilente e demoralizzante ma difficile da sostenere.
Superato il default, l'economia del Paese era riuscita a crescere. In molti avevano subito gridato al miracolo, al modello da seguire in materia di ripresa. Complice gli affari con la Cina che in pochi anni sono aumentati a dismisura: da 3 miliardi di dollari a 15 in soli otto anni. La soia dei miracoli, così l'hanno chiamata, campi dove prima pascolavano le mucche che hanno fatto grandi i gauchos, ora sono tutti a coltivazione di soia. Negli ultimi tempi poi sono aumentate sia la spesa pubblica che l'inflazione. Ora la batosta dall'America. È l'Argentina e il suo male endemico, che la fa riscoprire debole e disarmata. Ancora una volta a rischio.

La presidente della tv ha scongiurato e promesso che non sarà come allora, eppure alla Corte Suprema statunitense il Paese aveva lamentato che una decisione a sfavore poteva provocare una nuova crisi e un default, «il quale può far scattare nuove catastrofi economiche con severe conseguenze per milioni di ordinari cittadini» del Paese latinoamericano.

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