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L'Irak alla prova di maturità Primo voto senza americani

L'Irak alla prova di maturità Primo voto senza americani

Le prime elezioni parlamentari in Iraq dopo il ritiro delle truppe americane nel 2011 si sono svolte con successo, nonostante gli attacchi dei terroristi legati ad Al Qaida. Una prova di maturità in un Paese scosso da una nuova ondata di violenze scaturita dall'atavico braccio di ferro fra sciiti e sunniti.
Ieri 20 milioni di iracheni sono stati chiamati alle urne per scegliere fra oltre 9mila candidati i 328 parlamentari dell'assemblea nazionale, che eleggerà il primo ministro ed il presidente. Nelle urne si sfidavano 39 coalizioni, ma il favorito è il blocco «Stato di diritto», che sostiene il premier uscente Nouri al Maliki appoggiato sia dagli Usa che dall'Iran.
«La nostra vittoria è certa, ma aspettiamo di vedere di che misura», ha affermato Maliki dopo aver votato. Il premier sciita al suo secondo mandato ha invitato gli iracheni a recarsi in massa alle urne «per mandare un segnale di deterrenza, uno schiaffo in faccia ai terroristi». L'affluenza è stata soddisfacente nonostante una serie di attentati abbiano provocato 17 morti. Nella provincia sunnita di Anbar, al confine con la Siria, soprattutto a Falluja ed in parte a Ramadi i seggi sono rimasti chiusi. Dallo scorso dicembre le tribù sunnite locali si sono alleate con al Qaida contro il potere sciita a Bagdad. Questo mese in Iraq sono morte oltre 500 persone per attentati e violenze settarie e dall'inizio dell'anno 2700.
La rivolta sunnita nella provincia di Anbar è alimentata dalla guerra in Siria. Le frange estreme della ribellione contro Damasco considerano i due paesi un solo terreno di battaglia dove fondare un Califfato secondo l'ideologia di Al Qaida. Non solo: L'Arabia Saudita preoccupata per il rischio di venir spodestata dall'aumento della produzione petrolifera dell'Iraq governato dagli sciiti, sta alimentando sotto banco l'insorgenza sunnita.
La minaccia del terrore non ha impedito al Paese di andare alle urne. Il segretario di stato americano, John Kerry, ha elogiato «il coraggio» di milioni di elettori. Washington sta accelerando la consegna a Bagdad di 36 caccia F-16, 24 elicotteri Apache e 500 missili Hellfire per fronteggiare Al Qaida.
La lotta al terrorismo è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del premier uscente Maliki. In realtà le indiscrezioni sul voto di poliziotti e militari, che si è tenuto lunedì, indicano che il capo del governo non ha ottenuto un buon risultato. Maliki è accusato di aver marginalizzato i sunniti provocando l'insana alleanza fra tribù e terroristi nella provincia di Anbar. Adesso propone una grande coalizione aperta «ad arabi, curdi, turcomanni, musulmani, cristiani, a patto che credono nell'unità dell'Iraq».
La coalizione del primo ministro non teme il fronte sunnita, che si è presentato alle urne più diviso che mai. La spina nel fianco è la crescita di nuove compagini sciite, che riusciranno a rosicchiare la maggioranza al premier uscente. In ogni caso il governo sarà di coalizione ed i tempi per formarlo lunghi e tribolati. L'alleanza politica sciita al Muaten (il cittadino) guidata da Ammar al Hakim potrebbe aggiudicarsi la guida del prossimo esecutivo. L'ago della bilancia è rappresentato più che mai dai curdi, che vivono nei loro territori al Nord in una specie di altro Iraq, polo di attrazione per gli investimenti stranieri. Il nodo da sciogliere sarà lo sfruttamento del petrolio e l'esportazione che i curdi gestiscono da soli.
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