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L'ora della prudenza

Il popolo ucraino mostra scetticismo non solo verso la “mano tesa” dell’Occidente ma anche verso la Russia. Qui la testimonianza di un "uomo comune", che alla militanza politica e al desiderio di “scendere per strada”, preferisce essere prima di tutto prudente

“Non ci capisco nulla. Non so cosa pensare.” Le parole dell’amico Vladimir, conduttore di taxi di Donetsk, in Ucraina orientale, squarciano facilmente il velo di certezze costruite mentalmente nei giorni scorsi e, in modo secco, ci richiamano all’ordine o , più esattamente, ci fanno ricordare le parole perplesse di Nadia e Serghiei, con cui ci eravamo confrontati l’ultima volta (leggi l'articolo) : “Pensi che cambierà davvero qualcosa? Che in breve tempo si riuscirà a porre rimedio all’incuria di anni?”.

In effetti, a voler ben guardare, poche delle soluzioni che col pensiero abbiniamo alla “questione ucraina” ci convincono e poche battute, captate tramite la cornetta telefonica, bastano a renderci prima scettici nei confronti degli annunci roboanti dei protagonisti della politica internazionale e, poi, insicuri.

Se l’ultima volta eravamo stati testimoni di un diffuso scetticismo verso la “mano tesa” dell’Occidente in Ucraina (leggi l'articolo) ora, per converso, è verso la Russia che è indirizzato il dubbio di un altro uomo comune, che alla militanza politica e al desiderio di “scendere per strada”, preferisce essere prima di tutto prudente. Una scelta comprensibile.

A poco tempo dalla vittoria proclamata dagli insorti di Piazza Majdan e contestualmente al fermento delle regioni orientali dell’Ucraina, molte persone assumono un contegno silenzioso e discreto e, pur se interrogate con insistenza, ritengono di non poter fare previsioni affidabili sull’evolversi della situazione.

Quando il vecchio governo ha abbandonato la capitale e la marcia degli insorti appariva inarrestabile molti degli abitanti russi delle regioni orientali dell’Ucraina hanno vissuto momenti di tragico travaglio interiore e, alla notizia dell’imminente arrivo delle truppe di Mosca, hanno tirato un sospiro di sollievo. L’esercito russo, pur limitandosi a manovrare in Crimea, ha fatto giungere il “ruggito dell’orso” in tutte le regioni russofone e, almeno per il momento, coloro che si preparavano a vestire il ruolo di prossime vittime di una guerra civile possono sentirsi al sicuro ed esternare progetti politici, come per esempio le richieste di indire referendum popolari per la secessione.

I problemi dei più, tuttavia, non sono risolti e molte persone, pur apprezzando sotto certi profili l’operato del Cremlino, ritengono di non potersi ancora esprimere positivamente circa la propria situazione. “La nuova classe politica ci è sconosciuta; sarà davvero migliore di quella di prima? Possiamo davvero fidarci?”.

Chi ha avuto la possibilità di “vivere” nelle regioni che, fino a non molti anni fa, erano parte dell’Unione Sovietica non avrà potuto fare a meno di notare, in determinati contesti, la rassegnazione di molte persone all’impossibilità di cambiare, in tempi brevi, determinate cose del loro Paese. Per gli anziani tale stato d’animo assume aspetti che potrebbero definirsi sconsolanti oppure grotteschi; per i più giovani la sensazione pare affievolita ed è evidente, in loro, la consapevolezza di poter fare affidamento solo sulle proprie forze e sulla propria determinazione.

Quello a cui aspirano molte persone comuni non è un vero stravolgimento governativo ma, piuttosto, un cambiamento nella cultura del governo e dell’amministrazione che agisca a tutti i livelli, da quello più alto a quello più basso.

Un moto di rinnovamento a cui dovranno partecipare, se lo si vorrà davvero, non solo coloro che risiedono ai vertici della gerarchia statale ma anche coloro che agiscono alla sua base.

L’unica rivoluzione possibile, agli occhi dei nostri interlocutori, non ha nulla a che fare con i moti di piazza a cui si è assistito finora ma dovrà essere lenta, graduale, inesorabile e dovrà essere attuata dal popolo nella sua interezza, dalle famiglie, dai singoli individui, dalle persone comuni, quelle che spesso sembrano non contar nulla ma che alla fine, nel tempo, daranno silenziosamente un nuovo volto alla nazione.

Che sia davvero meglio prestare ascolto al vecchio detto secondo cui le vere rivoluzioni avvengono dentro e non fuori?

Gabriele Tansella è un nostro giovane lettore freelance che ha voluto regalarci questa sua testimonianza

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