Gli americani ammazzano un pescatore indiano e ne feriscono altri tre, ma nessun marinaio a stelle e strisce finirà sotto processo per averlo fatto, come i nostri marò. Con la differenza che i potenti alleati sparano per uccidere, quando devono fermare una presunta minaccia ed i nostri fucilieri di marina avrebbero mirato in acqua. L'incidente che ha coinvolto lunedì una nave militare Usa ed un altro incauto peschereccio indiano nelle acque di Dubai è molto simile al caso dell'Enrica Lexie, che ha portato Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in galera. Talmente simile che l'ennesimo governatore dello stato indiano dove viveva la povera vittima ha subito messo le mani avanti chiedendo un indennizzo per la famiglia, come nel caso della nave italiana.
«Lo avevamo detto: oggi tocca a noi, ma domani può capitare a tutti» sottolinea il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, che si è occupato in prima persona dei marò. «In questo caso è toccato agli americani, che sparano per colpire se si sentono minacciati - fa notare l'ex diplomatico Onu - I pescatori indiani in acque internazionali vanno avanti imperterriti anche se dalle navi a cui si avvicinano arrivano chiari segnali di avvertimento».
In pratica lo stesso copione del 15 febbraio a bordo della Lexie con il nucleo di marò in servizio antipirateria, che ha sparato per fermare un peschereccio uccidendo, secondo l'accusa, due indiani. Il problema è che noi siamo rientrati in porto dalle acque internazionali, in buona fede, facendoci ingabbiare i due marò. Gli americani al massimo accetteranno l'inchiesta ordinata dalle autorità di Dubai, ma non consegneranno mai nessuno dei loro uomini all'India o agli Emirati.
L'incidente è avvenuto lunedì sera nel porto di Jabel Ali, quando una nave cisterna Usa in servizio nello strategico stretto di Hormuz ha individuato un'imbarcazione che si avvicinava troppo. Alla marina Usa brucia ancora l'assalto con i barchini minati nello Yemen al cacciatorpediniere Uss Cole, nel 2000, che ha provocato la morte di 17 marines.
Pensando che si trattasse di una minaccia i marinai di guardia a bordo hanno prima lanciato avvertimenti con il megafono e segnalazioni. Poi hanno aperto il fuoco per fermare l'imbarcazione, che in realtà era un innocuo peschereccio. Un indiano a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti.
Secondo De Mistura «questo incidente internazionalizza ancor più il caso dei nostri due marò». In pratica il governo indiano e la comunità internazionale dovrebbe tenerne conto, ma per ora la premier del Tamil Nadu, stato indiano d'origine della vittima, sfrutta il precedente dei marò. «Sono stati fatti notevoli sforzi da parte del governo indiano per ottenere risarcimenti per le famiglie delle vittime dalla società mercantile italiana» della Lexie scrive la governatrice Jayalalithaa al primo ministro indiano. «Quindi - prosegue - vi chiedo di assicurare che le famiglie della vittima e dei tre feriti siano adeguatamente risarciti».
Per ora sono arrivate solo le scuse dell'ambasciatore americano a New Delhi e l'apertura di un'inchiesta chiesta dagli indiani, ma possiamo star certi che nessun poliziotto metterà piede sulla nave cisterna per arrestare i marinai americani che hanno sparato.
Un motivo in più per sbattere i pugni sul tavolo come il nostro ministero della Difesa ha cominciato a fare, dopo lunghi silenzi e troppa diplomazia. Ieri il tribunale di Kollam, che sta processando Latorre e Girone, ha assestato l'ennesimo schiaffo procedurale.
Gli avvocati dei marò avevano chiesto la traduzione degli atti d'accusa in italiano per farli comprendere agli imputati accusati di omicidio. Il giudice Pd Rajan ha risposto che non occorre perchè i legali conoscono sia l'inglese, che il malayalam, la lingua locale.
Con una dura nota il ministero della Difesa «esprime il proprio totale disappunto per la decisione del Tribunale di Kollam». Secondo il dicastero «gli accusati conosceranno gli atti processuali unicamente in sede dibattimentale (...) viene così impedito il legittimo esercizio alla difesa da parte di Latorre e Girone: principio base di ogni Stato di Diritto». In pratica i marò non saranno sottoposti ad «un giusto processo».
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