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Mosca ricatta con il gas e liquida l'Ue: "Ridicola". Assedio a Sebastopoli

Gazprom: "Pagate o rubinetti chiusi". Gli Stati Uniti via dalle Paralimpiadi. Truppe russe circondano base delle forze aeree ucraine in Crimea, poi si ritirano

Un militare al servizio dei russi in azione in Crimea
Un militare al servizio dei russi in azione in Crimea

Mentre Putin ride degli appelli dell'Europa, l'avanzata militare russa in Crimea prosegue e ha subìto ieri una nuova accelerata. Alla fine di una lunga giornata in cui il Cremlino ha fatto la voce grossa, truppe fedeli a Mosca hanno sfondato con un autocarro i cancelli di una base militare dell'esercito ucraino a Sebastopoli e ne hanno assunto parzialmente il controllo senza sparare ma intimando la resa ai circa 100 soldati presenti. Nella base, sotto assedio per qualche ora, ha sede il comando tattico delle forze aeree ucraine in Crimea. Dopo una dura trattativa, le truppe russe si sarebbero allontanate.

È avvenuto tutto dopo una lunga giornata di paradossi e ipocrisie. Lo chiamano mondo globale, ma a guardar bene sembrerebbe un circo paradossale. L'ex spione Edward Snowden, fuggito in Russia con in tasca le intercettazioni dei servizi segreti di Barak Obama e David Cameron ai danni di americani ed europei, ne è il vero simbolo. Fateci caso. Per le tribù «liberal» italiane ed europee quell'ambigua «talpa» è un paladino delle libertà personali, un eroe della lotta per i diritti civili. Non a caso i deputati socialisti norvegesi Baard Vegar Solhjell e Snorre Vale lo candidano al Nobel per la Pace preferendolo addirittura a Papa Francesco. Eppure quella stessa tribù liberal, benpensante e sinceramente democratica, tra cui non mancano gli esponenti di governo europei, considera alla stregua di un tiranno Vladimir Putin, il presidente russo a cui l'«eroe» Snowden deve la salvezza e che ieri tramite il suo portavoce ha definito «non credibile» la Ue sostenendo che «i suoi appelli suscitano solo sorrisi» e auspicando che non si torni alla guerra fredda.

Il meglio di questo ipocrita paradosso va in scena in questi giorni all'Europarlamento di Bruxelles. Lì i deputati impegnati a difendere l'Ucraina dalle minacce del «malvagio» Putin, pronto a tagliare il gas all'Ucraina se non pagherà debiti ormai vicini ai 2 miliardi di dollari, fanno i conti con un'imbarazzante lettera denuncia del suo protetto Snowden. Una letterina in cui lo spione spiega come i servizi segreti di Obama, grande alleato della Ue sul fronte ucraino, cerchino «buchi negli impianti legislativi e nelle garanzie costituzionali dei Paesi europei in modo da poterli sfruttare per giustificare operazioni di sorveglianza indiscriminate». Tra gli accusati della Talpa non manca il premier inglese Cameron membro della compagnia di giro europea.

Le dolorose contraddizioni di Bruxelles non si esauriscono qui. Basta riflettere sulla questione del referendum convocato dalla Crimea per decidere se restare con Kiev o passare con la Russia. L'Unione Europea divorata dal sacro fuoco della libertà dell'Ucraina non esita a definirlo illegittimo. Jan Tombinsky, inviato di Bruxelles a Kiev, spiega che per renderlo legale bisognerebbe estenderlo a tutta la popolazione ucraina. In passato, però, non è mai andata così. A cominciare dalla stessa Ucraina. Ventitre anni fa la Ue non ebbe il minimo dubbio nel riconoscere la legittimità dello storico referendum del 1° dicembre 1991. Con quel referendum i cittadini di Kiev decisero, in totale autonomia, di mollare al proprio destino la Russia e l'Unione Sovietica trasformandosi, per la prima volta nella storia, in stato indipendente e sovrano. Ma le convalide e le ratifiche di Bruxelles non si fermarono lì. La stessa patente di legittimità venne dispensata, anche in quei casi sulla base di referendum auto convocati, ad Armenia, Azerbajan, Lituania, Lettonia, Estonia e Georgia. Per non parlare del frettoloso avvallo concesso dall'Europa al voto per l'indipendenza che trascinò prima la Croazia (1991) e poi la Bosnia Erzegovina (1992) nella tragedia di una guerra sanguinosa e spietata. Ma l'espressione più patetica del circo del paradosso è andata in scena ieri a Sochi. Lì Parigi e Londra, restie a rinunciare al gas russo e ai commerci con Mosca, hanno optato per la facile scelta di disertare l'apertura delle Paraolimpiadi. Pur di far dispetto a Putin, hanno spento i riflettori sui giochi dei più deboli.

Quelli veri.

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